Quest’anno Wikimedia Foundation ha ricevuto una sovvenzione da parte della Stanton Foundation per aumentare sensibilmente l’usabilità di Wikipedia per i nuovi contributori, migliorando MediaWiki tramite lo studio dei comportamenti degli utenti allo scopo di ridurre le barriere ad una più ampia partecipazione.

Come tutti i progetti che portiamo avanti, anche questo è caratterizzato da un forte coinvolgimento della community: in ogni passo del progetto non solo è gradita ma è sollecitata la collaborazione degli utenti che partecipano a Wikipedia, per fornire input, suggerimenti e feedback. La fase di test, infine, è quasi totalmente demandata alla community.

Per UX Magazine di settembre ho scritto Un’enciclopedia usabile, raccontando la Wikipedia Usability Initiative (il progetto che, partito a gennaio 2009, conta di rendere Wikipedia – in 15 mesi – decisamente più usabile).

Un sentito ringraziamento a “Il fatto quotidiano” che oggi, a pagina 15 nella rubrica “Mondo Web” a cura di Federico Mello, pubblica Angelucci vuole venti milioni da “Wikimedia”.
Benché la notizia non sia passata inosservata in rete, è il primo quotidiano “di carta” (in realtà il primo quotidiano e basta..) che ne parla.

Attenzione: Questo post parla di matematica (un po’ anche di fisica) e non proprio a livelli elementari. In soggetti predisposti leggere quello che segue potrebbe indurre narcolessia, attacchi di panico e, nei casi più gravi, esplosione della scatola cranica. Continuate a vostro rischio e pericolo.

Il mio professore di Analisi all’università era solito dire che calcolare una derivata è una tecnica mentre risolvere gli integrali è un’arte. In effetti non esiste un modo sempre valido di cavar fuori qualcosa di buono da un integrale e, caso per caso, bisogna inventarsi un trucco che funzioni. Se questo è vero per gli integrali allora, a maggior ragione, è vero per le equazioni differenziali. Se avete fatto tanto di studiare qualcosa di anche solo vagamente scientifico vi sarete resi conto che le equazioni differenziali sono più o meno ovunque e che, tranne pochissimi casi dove esiste una formuletta risolutiva (che il vostro prof vi ha fornito e che voi avete ciecamente applicato per passare l’esame ed avete dimenticato pochi minuti dopo) non è mai realmente possibile risolverle. Certo, i matematici si son dati pena di scrivere tomi ponderosi che contengono la soluzione a millemila equazioni differenziali diverse: tuttavia siate pur certi che quella che vi servirebbe in quel dato momento non rientra nel novero di quelle già studiate (immagino che questo sia un qualche corollario della legge di Murphy).

Non tutto è perduto: esistono tutta una serie di tecniche (separazione di variabili, espansione in serie ecc) che sono relativamente facili da ricordare e da applicare e che funzionano “spesso”. Tanto che le si insegna in quasi tutti i corsi di fisica, ingegneria ecc. Una di queste tecniche, che io trovo particolarmente elegante ma che nessuno si è mai dato pena di insegnarmi durante i miei lunghi anni di università, è la “espansione in autofunzioni”.

Una autofunzione (spesso chiamata anche “autovettore“) è una funzione Ψ particolare che resta poporzionale a se stessa quando vi viene applicato un operatore A: A Ψ = λ Ψ, dove λ è il coefficiente di proporzionalità ed è chiamato autovalore. Ciascun operatore ammette un certo numero di queste autofunzioni e ciascuna autofunzione ha associato il suo autovalore. Trovare autovalori ed autofunzioni di un operatore non è sempre banale ma è quasi sempre possibile ottenerne senza troppa fatica almeno delle buone approssimazioni numeriche.

Apparentemente autofunzioni ed equazioni differenziali hanno poco a che vedere le une con le altre ma, in realtà, possiamo utilizzare la conoscenza delle prime per risolvere le seconde. Per farlo sfrutteremo il fatto che l’insieme di tutte le autofunzioni di un dato operatore forma una base completa, ovvero qualunque funzione su cui l’operatore A possa agire può essere scritta come somma delle autofunzioni dell’operatore stesso: f=Σi ai Ψi. Fra tutte queste funzioni che possono essere scritte come somma c’è anche la soluzione della nostra equazione differenziale; quindi trovare la soluzione equivale a trovare tutti i coefficienti ai della sommatoria.

Un’altra proprietà utile delle autofunzioni è che sono normalizzate e ortogonali fra loro, ovvero <Ψi|Ψj> è pari ad 1 se i=j e zero in qualunque altro caso, dove = ∫ f g dx è il prodotto scalara canonico fra due funzioni a quadrato integrabile (N.B. qui tutte le funzioni sono reali e quindi non ci preoccuperemo dei complessi coniugati e cose del genere). Moltiplicando quindi scalarmente l’espansione in autofunzioni di f per Ψj otteniamo < f | Ψj>=Σi ai <Ψi|Ψj> = aj. Questa relazione, apparentemente inutile, ci servirà nel seguito.

Per evitare di andare ancora più sull’astratto di quello che già stiamo facendo spieghiamo questo metodo con un esempio: ipotizziamo di voler risolvere l’equazione di diffusione ḟ=D ∇2 f su di un intervallo con la condizione al contorno che la soluzione debba essere pari a zero agli estremi. Ora, se l’intervallo è di lunghezza infinita questa equazione si risolve in pochi passaggi (suggerimento: fare la trasformata di Fourier rispetto alle coordinate spaziali, risolvere  rispetto al tempo per separazione di variabili e antitrasformare), se invece l’intervallo ha dimensioni finite il tutto si complica notevolmente. Non che non si possa risolvere, però non è più così banale. Ipotizziamo però di conoscere tutte le autofunzioni e gli autovalori dell’operatore Laplaciano (∇2) definito sul nostro intervallo (che sono diversie dalle autofunzioni e gli autovalori del Laplaciano definito su tutta la retta reale), allora potremo riscrivere la nostra equazione di diffusione come: δt Σi ai Ψi = D ∇2 Σi ai Ψi (dove δt rappresenta l’operatore di derivazione rispetto al tempo). Sfruttando il fatto che il Laplaciano è un operatore lineare (ovvero le costanti possono passare liberamente dalla sua destra alla sua sinistra) otteniamo δt Σi ai Ψi = D Σi ai λi Ψi; moltiplicando (scalarmente) entrambi i lati dell’equazione per Ψj troviamo δt aj = D aj λj che può essere facilmente risolta per separazione di variabili ottenendo aj = Aj eD λj t dove Aj è una costante che dipende dalle condizioni iniziali. In particolare, al tempo zero, A=aj e quindi A= < f | Ψj>= ∫ f(x,t=0) Ψj(x) dx (vi ricordate la relazione apparentemente inutile di prima?). Avremo quindi aj= eD λj t ∫ f(x,t=0) Ψj(x) dx.

In questo modo abbiamo ottenuto tutti i coefficienti aj che possono essere risostituiti nello sviluppo f=Σi ai Ψi per ottenere f= Σi eD λj t Ψi ∫ f(x,t=0) Ψi(x) dx. Nel caso in cui al tempo zero la funzione f fosse tutta concentrata in un solo punto (caso abbastanza comune quando si studia l’evoluzione di un processo diffusivo) potremo scrivere f(x,t=0)=δ (x-x0) e quindi la soluzione si semplifica notevolmente diventando f(x,t)=Σi eD λj t Ψi(x) Ψi(x0). In pratica possiamo ottenere la soluzione alla nostra equazione differenziale semplicemente come sommatoria delle autofunzioni del Laplaciano. Giustamente però uno si potrebbe chiedere: “ma quanto è difficile trovare queste autofunzioni?”. In effetti se fosse difficile tutto quello che abbiamo fatto fino ad ora sarebbe assolutamente inutile; fortuna vuole che trovarle sia piuttosto semplice. Infatti il Laplaciano in una dimensione altro non è che la derivata seconda rispetto alla coordinata spaziale e noi di funzioni che derivate due volte ritornano uguali a se stesse ne conosciamo già diverse senza dover fare troppa fatica: seni, coseni ed esponenziali (ci sarebbero anche seni e coseni iperbolici ma, alla fin fine, sono sempre somme di funzioni esponenziali esponenziali). Coseni ed esponenaizli li possiamo però scartare subito, infatti a noi servono funzioni che possano essere zero alle estremità. Restano i seni; in un intervallo che va da zero a L tutti i seni nella forma sin(Ï€ n L-1 x) con n intero sono zero agli estremi e ∇2 sin(Ï€ n L-1 x) = – Ï€2 n2 L-2 sin(Ï€ n L-1 x). Quindi, senza troppa fatica, abbiamo trovato che sin(Ï€ n L-1 x) sono le autofunzioni dell’operatore Laplaciano e – Ï€2 n2 L-2 i suoi autovalori.

Abbandonando per un attimo la matematica e guardando alla fisica possiamo notare che, nella soluzione che abbiamo trovato, gli autovalori λi rappresentano l’inverso di una costante di tempo. In pratica tanto più piccolo (in valore assoluto) è l’autovalore tanto più importante sarà il suo contributo a tempi lunghi. Dato che noi l’autovalore più piccolo di tutti lo conosciamo (è quello per cui n=1) possiamo vedere che per tempi lunghi sarà l’unico a contare e che quindi f(t) ∝ e– D Ï€2 L-2 t. Ovvero, per tempi lunghi, la soluzione dell’equazione di diffusione decade esponenzialmente e la rapidità di questo decadimento dipende solo dal coefficiente di diffusione D e dall’inverso del quadrato dello spessore L del vostro sistema.

Tornando alla matematica ri-astraiamoci un po’ dal caso particolare: la tecnica dell’espansione in autofunzioni ci permette di trasformare un’equazione differenziale in un’equazione algebrica per i coefficienti dello sviluppo semplificandoci di molto la vita. Il prezzo da pagare è quello di avere una soluzione sotto forma di sommatoria invece che esplicita ma, in molti casi, si tratta di un prezzo accettabile. Nel caso in cui si conoscano le autofunzioni solo per un pezzo dell’operatore (è il caso della nostra equazione di diffusione dato che avevamo a disposizione le autofunzioni del Laplaciano e non dell’operatore δt-∇2) quello che si ottiene è di togliere di torno quella parte, lasciandoci con una equazione che sempre differenziale è ma che, sperabilmente, è un po’ più facile da risolvere rispetto a quella di partenza.

Per concludere ritorniamo alla fisica: la soluzione f= Σi eD λj t Ψi ∫ f(x,t=0) Ψi(x) dx vale per qualunque equazione differenziale della forma ḟ=c H f dove c è una costante numerica e H un qualunque operatore che ammetta una base di autofunzioni. A quelli di voi che hanno almeno un’infarinatura di meccanica quantistica un’equazione di questo tipo dovrebbe immediatamente far accendere una lampadina in testa: l’equazione di Schrödinger. Infatti, se riuscite a trovare autovalori ed autofunzioni della vostra Hamiltoniana (così si chiama l’operatore H che sta nell’equazione di Schrödinger) avrete gratis la soluzione completa del vostro problema (e scusate se è poco!).

Forse è il caso che leggiate cosa ha chiesto Gilioli agli Angelucci e cosa gli ha risposto il loro avvocato.

Il commento di .mau. dà qualche risposta.

Se non sai di cosa sto parlando, inizia da qui.

Parte dal passato con una rievocazione che continua a tornare al presente il post di oggi sul blog di WMF per (ri)lanciare la raccolta di idee per lo Strategic Planning.

We are asking everyone and anyone who cares about the future of Wikimedia to help collaboratively develop and write a five year strategic plan for the entire movement.

Anche i due presidenti (quello “vero” e quello onorario) lanciano il loro appello, in una lettera scritta a quattro mani:

Scrivici le tue idee, le tue speranze, le tue paure, quelli che vedi potrebbero essere obiettivi per i progetti.

E tu dove vedi Wikimedia ora?
Dove la vedi tra 5 anni?
Come suggerisci di arrivarci?

Per approfondire
* Le proposte più “interessanti” secondo Liam Wyatt (Wikimedia Australia)

Siccome qui non sono stata troppo chiara, qualcuno l’ha spiegato più chiaramente qui.

Fanno causa a Wikimedia Italia per due voci di Wikipedia e chiedono 20 milioni di euro di danni. La busta contenente l’atto di citazione era indirizzata a me, in quanto presidente (un’emozione che non vi auguro!).

Ne parla Paul the Wine Guy qui, Ignis qui, Giacomo Dotta su Webnews, Leoman3000 qui.

Se ti stai chiedendo come puoi essere d’aiuto, io ti suggerisco di parlarne o di contribuire.

@update: ne parla anche Tooby e Giacomo Dotta approfondisce ricollegandosi all’Internet Manifesto.
Si aggiungono anche Paginazero, Kiado, Punto Informatico, Tom’s Hardware, EdoM, Aubrey.
Diversi hanno ri-tumblrato PTWG, tra di loro The Hanged Man, Emmanuel Negro.
Ne parlano Mantellini, Civile.it e OneWeb2.0.
Armando Leotta e Alessandro Gilioli.
Stefano Quintarelli e .mau.
0.2, Tiziano Caviglia, Nicola Mattina, Stefano Scardovi, Nick e Sbisolo.
Giornalettismo, Aviatore sopra il mare e Zeus News.
Vittorio Zambardino e Gigi Cogo.
Giorgio Marandola.
Luca Sofri, ilCorda, Antonella Beccaria.
Giornalisticamente, Follow the Media.
Snowdog.
Sitissimo, Vittorio Pasteris, Andrea Sacchini.
Affari italiani.
Digital PR, Petrolio e Economia e Finanza di Blogosfere.
Gioxx, Gianluigi e la Pizia.
Helios.
Vanilla, Geeksquare e Mr. Webmaster.
Kaspo.
Federico Moretti, David de Concilio e ilFastidio.
VoceArancio.
IWA.
Gianluigi.

@update: alcuni mi segnalano che stanno scrivendo ad Angelucci tramite il sito della Camera.

@update: oltreoceano Gianfranco su en.wiki (anche nella talk di Jimbo). The daily irrelevant. Wikizine. Reddit riprende Sinteur.

@update: arrivano anche i primi commenti da parte di esponenti del mondo politico: Pier Ferdinando Casini.

@update: citati in trasmissione da Marco Montemagno in trasmissione

Non c’è un errore di stampa nel titolo, intendo proprio parlare di WikiMedia, Wikimedia Italia nella fattispecie.
Esce oggi il 26esimo numero di Wikimedia News, il bollettino dell’associazione.
Nel mio lungo editoriale si parla di:
* programma per l’anno prossimo (APS e 5×1000, delega ai soci delle attività, ottenimento della personalità giuridica, rivitalizzazione dei progetti, turnover dei soci attivi)
* fornisco alcuni dettagli di una causa per danni da 20 milioni di euro in corso contro Wikimedia Italia
* invito tutti (anche te!) a venire a Roma, il 19 settembre, all’assemblea a discutere dei prossimi obiettivi
Tra gli eventi degli ultimi mesi segnaliamo:
* Festambiente a Vicenza
* il Biografilm Festival a Bologna
* OSMit 2009 a Trento
* Cruccone che ha partecipato all’EU Lobby Meeting a Bruxelles
* io ho partecipato al palazzovecchioBarcamp a Firenze
* Commons che ha raggiunto i 5 milioni di file
* io che ho tenuto un keynote a ECKM 09
L’immediato futuro ci prospetta:
* il Festivaletteratura di Mantova questo weekend
* l’assemblea a Roma presso la Sapienza, sabato 19
* la conferenza From Diderot to Wikipedia: an Epistemological Revolution? a Ottobre a Padova
Ci sono brevi news da tutti i progetti e chiudiamo con una foto di Petra Seeger che durante il Biografilm Festival 2009 modifica la voce a lei dedicata.

Dimenticanza? by

11 Set
2009

Oggi è l’11 settembre, anniversario dell’attentato alle torri gemelle e il logo di Google non è stato (ancora?) cambiato per commemorare l’occasione. Questa mi sembra, di per sè, già una notizia.

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Trova l’errore by

9 Set
2009

In una recente intervista per La Stampa il rettore del Politecnico di Milano ha affermato che: “Ogni Università investe minimo tre anni nella formazione di un giovane ricercatore, e non trovo logico, poi, che questo venga assunto in altri atenei“.

A me la frase non è piaciuta e agli amici dell’APRI addirittura ha fatto alzare i capelli in testa. Tuttavia immagino che chi non vive all’interno dell’università italiana potrebbe anche non trovarci nulla di male. Alla fine la frase suona logica e persino la giornalista non ha fatto una piega al riguardo. E allora cosa c’è di così scandaloso? Alla fin fine il rettore non ha ragione? Se ho una persona brava che si laurea da ma, si dottora da me, che lavora, cha ha risultati ecc perché dovrei farmela scappare? Non sarebbe più logico tenermela invece che farla andare da un’altra parte proprio nel momento in cui, plausibilmente, la sua produttività scientifica è al top? Dov’è il problema?

Detta così sembrerebbe che tutto andasse bene ma c’è un errore di fondo molto grave di cui il sig. rettore manco sembra accorgersi. Un errore che oramai è così profondamente radicato nell’università italiana che non ci accorgiamo più che c’è. Per capirci prendiamo l’esempio di un modello anglosassone idealizzato (Inghilterra, USA ecc non sono il paese del bengodi e i problemi esistono anche lì, seppur in misura minore che da noi): io, alla fine delle scuole superiori, ho deciso che mi piacerebbe studiare gingillometria applicata, cerco un po’ a giro e scopro che nello sperduto Kadath c’è un’università rinomata per la gingillometria. Ora, lo sperduto Kadath è lontano da casa mia ed io non ho tanti soldi a disposizione, però sono bravo e ricevo un prestito dallo stato ed una borsa di studio dall’università per permettermi di studiare. Finché continuerò ad essere bravo potrò continuare a studiare senza rischiare di morire di fame. Non sarà una vita da nababbi ma meglio di niente. Finita l’università decido che voglio rimanere nel mondo accademico e mi faccio anche un dottorato in gingillometria (per semplicità assumiamo che io lo faccia sempre nello sperduto Kadath). Finito il dottorato sono un promettente gingillometrista ed il mio supervisore è estremamente contento di me. Certamente per me è possibile restare nello sperduto Kadath dove già conosco tutti e dove il mio supervisore magari riuscirà anche a trovarmi un posto ragionevolmente pagato, tuttavia (siccome sono bravo) ho anche la possibilità di andare a fare il gingillometrista alla Miskatonic University dove ci sarebbe un gruppo di ricerca in gingillometria dove fanno cose un po’ diverse dalle mie ma interessanti. In questo mondo ideale il mio supervisore non pigerà troppo per tenermi con sè. Alla fin fine cambiare gruppo di ricerca mi permetterà di ampliare i miei orizzonti e diventare un gingillometrista migliore. D’altra parte per il mio supervisore perdere me non è così terribile perché (e qui sta il nodo fondamentale quindi prestate attenzione) c’è giusto un altro giovane brillante che ha studiato gingillometria a Dunwich che potrebbe prendere il mio posto portando una ventata di idee nuove e di competenze che prima nel gruppo non c’erano. Insomma, è un gioco dove vincono tutti: vinco io perché vado a lavorare in un bel posto dove si studiano cose interessanti, vince il mio supervisore perché otterrà (essenzialmente a gratis) idee e competenze nuove per il suo gruppo e vince lo studente di Dunwich perché va a lavorare nel bellissimo (per quanto sperduto) Kadath.

Notata la differenza fra questa storiella immaginaria e quello che dice il rettore del Politecnico? Nel sistema Italia non c’è alcun incentivo allo spostamento: io non me ne posso andare in un’altra università italiana perché l’unico modo di entrare è tramite un concorso, che però è truccato in modo da far vincere il candidato locale. Il capo di un gruppo di ricerca non può far venire gente da fuori (se non con contrattini che i Co.Co.Co. al paragone sono oro) perché, per farlo, devono far bandire un concorso e truccarlo a favore della persona che vorrebbero assumere. Anche un gruppo di ricerca che abbia appena ricevuto un fantastiliardo di dollari per proseguire le sue attività non può assumere un ricercatore e, colmo dei colmi, non può nemmeno assumere una persona a progetto pagandola una cifra alta dato che gli assegni di ricerca hanno tutti più o meno lo stesso importo. D’altro canto se tu non mi puoi offrire nulla di meglio di quello che già ho nell’università vicino a casa chi me lo fa fare di andarmene e perdere tutti i miei agganci ed il posto in coda per essere io un giorno il “candidato locale” a favore del quale il concorso verrà truccato? Va bene essere eroici ma anche da queste parti teniamo famiglia.

Insomma: Giulio Ballo dice esplicitamente che è inutile cercare di instaurare un circolo virtuoso dove idee e competenze girino, è inutile cercare di creare un sistema dove una persona capace e preparata possa utilizzare le sue competenze in maniera efficiente. Insomma, è inutile che pensiate di andare da un’altra parte. Qui siete a casa e c’è qualcuno che si prende cura di voi e che penserà al vostro futuro. Voi siategli imperituritamente fedeli e vedrete che, un giorno, avrete anche voi la vostra fetta di torta.

Con tutto il rispetto signor rettore, non lo vede l’errore nel suo ragionamento?

Agosto è un mese crudele con Wikipedia.
Quest’anno ha iniziato Zichichi parlando di internet, il giornale radio RAI mi ha chiesto un commento sull’affidabilità di Wikipedia, l’ANSA ha rilanciato con il controllo delle bio dei viventi citando i tedeschi, Radio 3 Scienza ha cercato di intervistarmi per parlarne (ma io ho avuto problemi con il cellulare), mi ha telefonato Il Giornale per saperne di più ma io ero ormai offline da 10 giorni e li ho dirottati sul mio vice, poi varie ed eventuali che sono uscite fino a ieri (arriva Wikipedia a colori, non ci sono donne che scrivono/usano Wikipedia).

Parte 1 · Parte 2

Se negli ultimi 10 giorni avete letto nelle news (come ad esempio qui) che Wikipedia è popolata sostanzialmente da uomini, vale la pena approfondire un po’ la questione.

Innanzitutto la notizia originale: mediamente il 30% dei lettori e il 13% degli utenti di Wikipedia (nelle varie lingue) sono donne. La fonte è uno studio della UNU-MERIT realizzato in collaborazione con Wikimedia Foundation lo scorso anno, il cui scopo era conoscere meglio i wikipediani.
Il dato è stato reso pubblico insieme ai risultati preliminari ad aprile 2009.
I risultati finali sono stati presentati a Wikimania:

L’argomento Wikipedia & donne non è nuovo alla speculazione. Nel 2004 Joi Ito scriveva:

One thing that has struck me is that many, if not most, of the people I’ve met from the community who are involved in managing Wikipedia seem to be women.
[snip]..is it something about Wikipedia that attracts powerful women?

Jimmy Wales ridimensionava un po’ l’impressione di Joi sulla quantità di donne, ma ne ribadiva il ruolo:

I have to admit that at Wikipedia meetups the ratio of men to women is about 8:1 overall. But that ratio does not hold in ever aspect of the community, and it is absolutely right to say that there are strong women who are in major leadership roles.

Alla fine del 2006, Angela Beesley, ha annunciato la creazione di una mailing list e di una wiki di “supporto” dedicata alle donne di Wikipedia, che fornisse loro un ambiente dove discutere di disparità dei sessi e di come incoraggiare gli utenti donna. La ml è attualmente gestita da Wikia.
Tornando ai giorni nostri, sulla mailing list dedicata alla Wikipedia in italiano, contemporaneamente all’interesse della stampa per la questione, è partito un breve thread sulle motivazioni per cui ci sono poche donne.

In un intervista alla radio di settimana scorsa mi è stato chiesto perché le donne sono così poche. Non ho risposte definitive, ma ho alcune riflessioni che posso condividere:
1. non ho la più pallida idea di quante siano le donne che navigano (e non sono riuscita a trovare dati recenti in merito.. se qualcuno ne sa qualcosa, sono molto interessata)
2. la ricerca di UNU-MERIT non è la Bibbia (ci sono alcune anomalie nei risultati)
3. per esperienza personale so che le donne sono poche, tendono a non farsi vedere nascoste dietro nick asessuati e compaiono ai raduni meno facilmente degli uomini (ho in mente diversi raduni con la sottoscritta unica donna presente)
4. forse non sono la persona più adatta a cui chiedere: sono donna, partecipo da 6 anni al progetto, sono (ancora, credo) in prima linea 😉

Per approfondire:
* Wikimedia Foundation and UNU-MERIT announce First Survey of Wikipedians
* Le FAQ di Wikichix
* Girls Don’t Wiki

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