Quando piombo su una notizia, qualsiasi essa sia – dalla cura del cane fino alla recensione del ristorante in cui vorrei mangiare – mi casca l’occhio (in maniera ormai del tutto automatica) sulle informazioni ritenute “di contorno”, tipo il nome di chi ha scritto la recensione, la data di pubblicazione e in alcuni casi persino l’età,  gli amici sui social network e tanti, tanti, tantissimi altri dettagli (senza escludere simpatie politiche o credo religiosi).

Se acquisto un giornale cartaceo accetto (in maniera del tutto passiva) qualsiasi tipo di informazione pubblicata: ho già pagato l’edicolante, fondamentalmente provo fiducia verso il prodotto comperato. Leggo un articolo senza farmi troppe domande su chi l’ha scritto, e presuppongo che la linea editoriale che ho condiviso all’atto dell’acquisto si rispecchi in tutte le pagine del quotidiano.

So anche che il prodotto è fresco. Se mi capita tra le mani un giornale stampato solo 5 anni fa lo riconosco al volo, capisco che è roba passata, digerita, “vintage”. Il tipo di font utilizzato, la pettinatura di un testimonial o semplicemente l’odore di carta vecchia mi fa sospettare che non ho notizie di prima mano a disposizione.

E’ un riflesso mentale ormai radicato, l’effetto “giornale da sala d’aspetto del medico”.

Questo è un approccio passivo e pigro per ricevere una notizia, ma è terribilmente collaudato e efficace.

Sul web purtroppo o per fortuna non è così. Una notizia del 1994 è proposta in maniera del tutto identica ad una di oggi. Tutto è salvato in un database, la grafica si aggiorna costantemente per l’intero archivio. Persino i banner cambiano di volta in volta. Quindi bisogna fare attenzione alle date di pubblicazione – o nel peggiore dei casi evincere se è qualcosa di recente o passato. Ma bisogna arrivarci da soli. Bisogna riflettere attivamente, non come col giornale della sala d’aspetto.

La stessa cosa vale per la TV: ho ben chiaro quali sono i telegiornali di parte e quelli faziosi, capisco immediatamente il format di una televendita, e suppongo che se vedo un politico intervistato è veramente lui a parlare (escluso per tagli e rimaneggiamenti postprodotti).

Posso dire la stessa cosa per la pagina di un politico su Facebook? E’ lui che scrive o il suo portaborse? Difficile dirlo.

Questa è l’autorevolezza che manca alla rete. Ha una memoria storica elefantiaca ma soffre di incredibili recentismi. E’ accessibile a tutti (su qualsiasi supporto e forma, aggregando il tutto secondo i gusti) ma non è in grado di identificare univocamente una persona.

Ha un sacco di teste e cervelli – ma pochi front-man.

Il “giuro, l’ho letto su Focus” suona ancora (paradossalmente) credibile rispetto a “l’ho visto su Wikipedia”.

L’autorevolezza rimane quindi solo negli occhi di chi guarda – e tra l’altro solo di chi osserva attentamente: perché le stellette date ad un film impegnato variano sensibilmente se il votante è dodicenne, ventenne o sessantenne. Quindi sì, la Guida Michelin è diversa da 2Spaghi. Non è migliore o peggiore. E’ solo differente – per costi e autorevolezza.

Ma lo è anche per incompletezza, accessibilità e multimedialità: qui il web non si può battere – corre come un treno.

Ha tutto e il contrario di tutto:  io davvero sono libero di poter leggere la stessa notizia da venti fonti diverse, partendo da siti gestiti da professionisti fino ad arrivare al tuttologo dell’ultimo minuto – senza contare le fonti estere.

Bisogna solo tenere gli occhi aperti e il cervello funzionante, ma è questo è il bello della rete.

E’ il lettore questa volta ad essere autorevole – è questa la vera rivoluzione.

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Relative Impact Factor by

26 Gen
2010

Nella laconica mail da parte di Mauro Massulli dove mi si convoca alle audizioni del FIRB (mercoledì 10 febbraio ore 9 a.m. in zona EUR a Roma per chi fosse curioso) si dice che, tra le altre cose, dovrò portare con me un mio curriculum vitae aggiornato dove “siano posti in particolare evidenza la durata di esperienze di studio e di lavoro all’estero, eventuali esperienze di coordinamento di gruppi di ricerca (specificando se la ricerca ha ricevuto finanziamenti locali o regionali/nazionali o internazionali) ed un elenco delle pubblicazioni, con evidenza dell’IF totale, del Relative Impact Factor e dell’IF medio per pubblicazione come primo/ultimo autore.“.

Tralasciando per un attimo il concetto che chiedere ad un “giovane” di avere esperienza di coordinamento di gruppi di ricerca è un po’ un ossimoro, quello che mi ha più incuriosito è stata la referenza al “Relative Impact Factor” di cui non avevo mai sentito parlare prima. Se uno cerca in rete si trovano delle informazioni (poche) che riguardano un “relative Impact Factor” per le riviste scientifiche ma che nulla ha a che vedere con i singoli ricercatori (esempio). Fortunatamente però la stessa mail riporta una succinta spiegazione di cosa loro intendano:

[Il Relative Impact Factor] tiene conto della posizione ("ranking") della rivista nella categoria
disciplinare ("subject category"), in cui la rivista ha la posizione migliore secondo le seguenti modalità:
a.	2 punti, per le riviste collocate nel primo quintile ("impact factor" più elevato)
b.	1,6 punti, per le riviste collocate nel secondo quintile
c.	1,2 punti, per le riviste collocate nel terzo quintile
d.	0,8 punti, per le riviste collocate nel quarto quintile
e.	0,4 punti, per le riviste dell'ultimo quintile ("impact factor" più basso)

Quindi tutto sta nello scoprire in quale quintile stanno le riviste dove si è pubblicato e fare una somma dei punteggi associati a ciascun quintile. Per farlo però c’è bisogno di un bel database dove le riviste siano divise in categorie disciplinari e, per ciascuna categoria, venga fatto un ranking delle riviste in base al loro Impact Factor. Magari mi sbaglio ma, per quanto ne so io, gli unici due database ragionevolmente completi (almeno in ambito scientifico non medico) sono l’ISI Web of Knowledge e Scopus, entrambi a pagamento. Per complicarsi la vita i due database non contengono lo stesso numero di riviste; se è ovvio che tutte le riviste principali siano presenti in entrambi i luoghi altrettanto non si può dire per le riviste meno prestigiose e questo può portare ad alcune incongruenze. Prendiamo, ad esempio, l’ipotesi di un articolo pubblicato su una rivista di gingillometria applicata e supponiamo che la rivista in questione sia la decima in graduatoria per entrambi i database. Immaginamo però che l’ISI consideri 30 riviste di questo settore mentre Scopus ne cataloghi 60. Nel primo caso il mio articolo è da considerarsi nel primo quintile, nel secondo caso invece siamo nel secondo quintile. Insomma, più è ampio il vostro database di riferimento e più rischiate che sia basso il punteggio del vostro Relative Impact Factor. Giusto per complicarci la vita poi l’ISI (Scopus non lo so che non ho l’accesso) ci fa il favore di calcolarci automaticamente in quale quartile (N.B. quartile, non quintile) si trova secondo lui ciascuna rivista. Tuttavia non lo fa nel modo banale che abbiamo delineato sopra ma, oltre ai 4 quartili, tiene anche in considerazione i cosiddetti outliers, ovvero quelle riviste che, pur facendo parte di una data categoria, hanno un IF fuori scala rispetto alle altre (Nature e Science sono due esempi titpici ma ce ne sono molte altre). Il criterio esatto con cui l’ISI decide cos’è un outliers e cosa non non mi pare sia specificato e quindi non è possibile ripetere pari pari la procedura per trasformare i quartili in quintili.
In realtà questi son problemi che si pongono solo per le riviste che stanno un po’ al limite fra due quintili, non per quelle saldamente piantate in cima o in fondo alla classifica. Tuttavia non posso fare a meno di avere la sensazione che questo “Relative Impact Factor” che ciascuno si calcolerà un po’ come gli pare non sia propriamente una grandezza ben definita.

Resta anche il forte dubbio che la commissione del FIRB, non potendo essere competente su tutto e trovandosi comunque di fronte a progetti di elevata qualità (la selezione pre-audizioni è stata durissima), giudicherà principalmente gli indicatori bibliometrici avvantaggiando così i più “anziani”.

Il nuovo numero di Co-housing è dedicato alla condivisione:
* in co-housing si parla di Resign, un progetto dedicato al design ecocompatibile
* in co-working si parla di Rescuenergy, un workshop sul rapporto con l’energia
* in co-gardening si parla di EcoWiki, magazine online su ambiente e buone pratiche
* in co-sharing, manco a dirlo, si parla di Wikipedia
A parte essere stata intervistata, ho avuto l’onere di scrivere l’editoriale (che riporto qui sotto). Ringrazio Cecilia ed Enza per la pazienza che hanno avuto con la sottoscritta 🙂

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Nel libro che sto leggendo in questi giorni (Bufale di Luca Damiani), c’è un passaggio che mi ha colpito per la sua semplicità:

Un tempo si diceva “l’ho sentito alla televisione” o meglio ancora, in una concezione antropomorfa dell’elettrodomestico, “l’ha detto la televisione”, e questo dava un’autorità indiscutibile a qualsiasi fatto. In compenso non si è mai detto “l’ho trovato su Internet” con altrettanto spirito acritico e con totale ingenuità, consci, come siamo più o meno tutti, che in un luogo pubblico, come avviene nel londinese Hyde Park, qualsiasi mentecatto può salire su una scatola e urlare i propri farneticanti convincimenti.

Il brano non l’ho notato per caso: è di questi giorni il dibattito lanciato da Gianni Riotta, direttore del Sole24Ore, “Cara, vecchia internet vai sul sito www.verità” che auspica di

[..] Riportare sulla rete quei canoni di serenità, autorevolezza, vivacità, impegno, buona volontà, dibattito, critica che sono da sempre trade mark della libertà, dell’onestà, della ragione. Senza perderne la ricchezza, la spontaneità, l’uguaglianza.
[..] Riportare sulla rete i valori della ragione, della saggezza e della buona volontà”.

Detto così sarebbe quasi condivisibile, se non fosse per quel termine, “autorevolezza“, che è la chiave attorno a cui gira tutta la riflessione:

[..] Lanier lamenta l’appiattimento dei contenuti online, che motori di ricerca come Google e l’enciclopedia scritta dagli utenti Wikipedia, importano sulla rete. Mettere ogni giorno insieme, senza alcuna selezione, gli argomenti dei filosofi e le arrabbiature del tizio davanti al cappuccino tiepido, l’analisi economica di un Nobel e lo sfogo del qualunquista di turno, può essere celebrato dagli ingenui alla moda come «open source» e «democrazia di rete».
[..] In realtà questa poltiglia di informazione amorfa rischia di distruggere le idee, il dibattito, la critica.

La prima cosa che mi ha insegnato la mia collaborazione a Wikipedia, è la valutazione critica della rete: quando ti trovi a dover decidere se una fonte online è affidabile o meno e cerchi di costruirti dei criteri, inizi a guardare tutto il web con occhi diversi. Poi un giorno ti accorgi che in realtà guardi tutto il mondo con occhi diversi: l’ha detto il telegiornale? Vediamo cosa dice l’ANSA, i giornali esteri e, perché no?, i blogger locali; confrontando tutte queste fonti forse riuscirò ad avere un’informazione forse più corretta ma sicuramente più completa.

Non si tratta di sminuire i media tradizionali o di avercela con la stampa, ma di usare strumenti diversi.

Facciamo un esempio più semplice, che tutti hanno provato: voglio andare a cena fuori. Chiedo agli amici, guardo su 2spaghi o leggo la guida Michelin?

Le prime due soluzioni si assomigliano moltissimo: su 2spaghi trovo un coro di voci, che magari non sono miei amici, ma sono “utenti finali” esattamente come me e nel leggere la loro esperienza quando hanno mangiato in quel posto posso trovare degli elementi molto utili a farmi prendere una decisione. Consultare la Guida Michelin, invece, significa sentire il parere dell’”autorità di settore”: sicuramente la qualità dei cibi preparati in un posto recensito è elevata, ma sarà il mio genere di locale? E’ terribilmente chic o è alla mano? Si parcheggia bene nei dintorni? Quanto spendo?

2spaghi rende meno autorevole la Guida Michelin? No.
2spaghi mi fornisce informazioni sbagliate? Non credo, quando lo consulto so che sto leggendo esperienze altrui, che non pretendono di essere la verità.
2spaghi fa calare le vendite della Guida Michelin? Forse sì o forse no.

La collaborazione e l’apertura rendono meno autorevole Internet? Non credo.

Internet nella sua interezza non è autorevole, così come non lo è la televisione o come non lo sono tutti i libri scritti dalla notte dei tempi ad oggi.
Il numero di Co-housing che state per leggere è dedicato alla collaborazione e alla condivisione; probabilmente al termine della lettura la rete non vi sembrerà più autorevole, ma un posto più interessante dove navigare sì.
Buona lettura!

Qualche tempo fa Peppe mi ha fatto notare che, fra i millemila gruppi inutili di FaceBook, ce ne era uno dall’improbabile nome La mucca di Schrödinger che sembrava interessante. Si tratta infatti di un gruppo di editori che, a turno, regalano agli iscritti al gruppo un piccolo numero di copie (cinque o sei) dei loro ultimi libri a carattere scientifico (tutta roba super-divulgativa, non vi spaventate) a patto che chi li riceve si prenda l’impegno di scriverne una recensione e di partecipare alla discussione che ne dovrebbe scaturire.

Giusto quando ho scoperto questa interessante iniziativa veniva proposto il libro “OGM fra leggende e realtà” di Dario Bressanini (che qualcuno di voi conoscerà per il suo blog Scienza in cucina o per il suo lavoro sul mensile Le Scienze). Immediatamente ho fatto domanda e, dopo un paio di settimane, mi è stato annunciato che ero stato scelto per essere uno di quelli che avrebbero ricevuto il libro.

Dopo essermelo letteralmente divorato (non che sia un tomo particolarmente pesante ma ci ho messo meno di due giorni a finirlo) ho anche diligentemente scritto la mia recensione. Tuttavia mi par di vedere che la discussione langue e persino le recensioni latitano un po’.

Ne approfitto quindi per riproporre qui quello che avevo scritto al riguardo nella speranza di convincere qualcuno a leggere questo libro (se non lo volete comprare almeno prendetelo in biblioteca che ne vale la pena).

_____________

Che sugli OGM ci sia molta disinformazione è un dato di fatto. Sia chi si schiera contro che chi si schiera a favore nella stragrande maggioranza dei casi parla per sentito dire, senza alcuna vera e propria cognizione di cosa sia realmente un organismo geneticamente modificato. Questo genera, da un lato, paure e fobie infondate e, dall’altro, aspettative enormi e poco realistiche.
Dario Bressanini ha una posizione decisamente pro-OGM ma, da bravo uomo di scienza, cerca di portarci su posizioni simili alle sua spiegandoci e dandoci gli stumenti per capire invece che sommergendoci di slogan vuoti e ingannatori.
Il libro “OGM tra leggenda e realtà” non è diretto agli addetti ai lavori o anche solo agli appassionati di questa materia, ma a tutta quella larga fascia della popolazione che, pur non avendo competenze specifiche di biologia o di chimica è curiosa e desiderosa di capire invece che seguire bovinamente il branco. Ecco, l’unico vero prerequisito per poter leggere questo libro è la curiosità e la volontà di capire. Bressanini non si aspetta che crediamo alle sue parole perché investito di una qualche autorità superiore ma argomenta e documenta le sue affermazioni mostrandoci come molte delle nostre idee sull’argomento non reggano ad uno scrutinio più approfondito e fornendoci gli stumenti per approfondire, nel caso lo volessimo.

La mia storia personale riguardo agli OGM è, per certi versi, emblematica del tipo di pubblico a cui Bressanini si rivolge. Fino a pochi anni fa ero un anti-OGM “senza se e senza ma” convinto. Ma la mia convinzione non proveniva da un’approfondita conoscenza dell’argomento ma solo da voci sentite a giro. Insomma, le mie idee erano il tipico risultato che si ottiene ascoltando solo una campana. Eppure avrei avuto gli strumenti per capire: alla fin fine sono uno scienziato, avvezzo a verificare e controllare le informazioni invece che fidarmi. Però, un po’ per pigrizia un po’ perché non si può essere sempre informati su tutto, mi ero affidato a quello che mi veniva raccontato per fondare le mie granitiche certezze. Insomma, ero la prova vivente che affermazioni come “alcuni scienziati dicono che…” (comunemente usate per difendere idee improponibili) sono pericolosissime. Si può essere scienziati e non sapere assolutamente nulla nulla di un dato argomento. Ancora peggio: si può essere uno scienziato, non sapere nulla di un dato argomento ed essere convinti di sapere tutto!
Le certezze granitiche hanno iniziato a sbriciolarsi il giorno che, per puro caso, girando su internet ho trovato un articolo pro-OGM e mi sono reso conto che le argomentazioni portate non erano del tutto prive di fondamento. Siccome, come diceva Cartesio, “Il dubbio è l’origine della saggezza” ho iniziato a cercare altre informazioni ed ho gradualmente cambiato idea. Su molte cose non la penso come Bressanini ma il punto non è uniformarsi tutti a questo o quel pensiero unico ma di crearsi una propria idea informata.

“OGM tra leggende e realtà” è un libro ben organizzato e di facile lettura anche per chi non sa niente (o quasi niente) di biologia. Gli argomenti sono presentati in maniera logica e chiara e gli esempi di OGM reali (o immaginari) abbondano. In molti potranno avere un sussulto quando scopriranno che gli organismi mutati con tecniche di precisione e controllati per generazioni prima di essere immessi sul mercato sono vietati mentre quelli mutati a casaccio bombardandoli di radiazioni si trovano comunemente sulla nostra tavola (talvolta corredati dall’inganevole dicitura “biologico”).
Chi si avvicina per la prima volta a questo tipo di problemi (e lo fa con mente aperta) potrà trovare un’ottimo punto di partenza per formarsi una propria idea personale.

Una volta appurato che si tratta di un ottimo libro e che io ne consiglio vivamente la lettura a tutti però c’è anche qualche piccola macchia da notare (ok, qui inizio a fare l’avvocato del diavolo). Un peccato tutto sommato veniale ma, a mio parere fastidioso, è l’uso delle immagini che sono poche e spesso anche utili per capire la differenza fra un frutto “moderno” ed i suoi antenati “naturali” ma corredate da didascalie a metà strada fra l’inutile ed il ridondante. Infatti, nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta di una copia pari pari di testo preso dal corpo del libro e presente nella stessa pagina dell’immagine stessa. Se questo ancora potrebbe avere un qualche senso in un libro denso e fitto di testo qui, dove vene usato un font piuttosto ampio per facilitare la lettura e non affaticare gli occhi, didascalie del genere appaiono come fastidiose ipetizioni. Sorprende che, in un libro evidentemente scritto con cura, Bressanini non si sia dato pena di riscrivere le didascalie.
Un problema più profondo invece è quello della scarsità di referenze. È vero che Bressanini ci propone un lungo elenco di report scritti da varie istituzioni che può sembrare pure troppo abbondante per chi è poco avvezzo alla letteratura scientifica, tuttavia nel testo non ci sono mai riferimenti diretti a questo o quel testo e, per verificare le affermazioni presenti nel libro, è quasi sempre necessario tirare un po’ ad indovinare in quale testo se ne parla e poi spulciarseli per trovare il capitolo esatto. Mancano anche del tutto riferimenti alla letteratura primaria (ovvero alle pubblicazioni scientifiche vere e proprie). Capisco che, a voler includere tutto, c’era il forte rischio di appesantire la scrittura e quindi allontanare il destinatario primario di questo libro (ovvero il non-scienziato curioso) ma la totale assenza di una vera e propria bibliografia può risultare frustrante per chi volesse seguire il consiglio di Bressanini e verificare le informazioni invece che credeci ciecamente.
Un altro problema non da poco è il tono che viene tenuto per tutto il libro verso i gruppi anti-OGM. Se è pur vero che molti degli slogan contro l’uso degli organismi geneticamente modificati sono basati sul nulla e dettati da pura e semplice ignoranza è anche vero che alcune delle motivazioni addotte contro gli OGM non sono completamete campate per aria ed andrebbero discusse con un po’ più rispetto per l’interlocutore. Gli anti-OGM convinti (incluse associazioni come Slow-Food e Green Peace) vengono trattati come cugini scemi di campagna, da compatire e guidare più che come interlocutori con cui discutere ed a cui spiegare le proprie idee. Il massimo riconoscimento che si riesce ad ottenere per le idee degli altri è una cosa del tipo “questo però è un problema completamente diverso di cui non ci occuperemo”. Questo tono, presente sia nel libro che sul blog che Bressanini tiene sul sito de Le Scienze, probabilmente allontanerà chi ha idee opposte ma era, in linea di principio, disposto a confrontarsi e (perché no?) cambiare idea.

In conclusione “OGM tra leggenda e realtà” è un ottimo libro che però presenta qualche ombra a cui il lettore è bene che faccia attenzione per evitare di fare l’errore di considerare Bressanini come una sorta di “detentore della vera verità“. Lo scopo che uno deve avere in mente leggendo questo libro deve essere sempre quello di farsi un propria idea e non quello di aderire a questa o quella corrente. Se, quando arrivate all’ultima pagina, non avete trovato nemmeno una frase con la quale non siete d’accordo allora questo libro ha fallito nel suo intento di aprirvi la mente e farvi ragionare con la vostra testa.

Mentre il “Politecnico di Torino” presenta il più bel bando per posti da ricercatore mai scritto a memoria d’uomo (in Italia, nei paesi civili bandi di questo tipo sono la norma) alla “Libera Università di Bolzano” mettono insieme un bando per un posto in Glottologia e Linguaggio (settore L-LIN/01) dove la lingua straniera la cui conoscenza verrà valutata in sede di esame è il Ladino. Ora, a parte il piccolo dettaglio che le nuove regole del ministero vietano di fare accertamenti sulla conoscenza delle lingue straniere, il punto più divertente è che la lingua Ladina non è affatto una lingua singola, omogenea e ben definita ma raggruppa una serie di dialetti spesso anche molto diversi tra loro. E che nessuno se ne venga fuori con la storiella “è un posto di ricercatore il glottologia e linguaggio quindi va bene”! Se voglio assumere un ricercatore che studi il sanscrito valuto le sue pubblicazioni sull’argomento, non la qualità del suo accento. Se proprio devo magari gli richiedo la conoscenza dell’inglese o del tedesco (o di qualunque altra lingua sia quella dove sono state fatte la maggior parte delle pubblkicazioni internazionali sull’argomento). Ma giudicare la conoscenza del Ladino ha l’unico e plateale scopo di dare il posto ad un “locale” nato e vissuto in una delle valli.

p.s.

Nel frattempo sono anche usciti i bandi per i famosi 500 posti da ricercatore CNR. A parte che (tanto per semplificarsi la vita) i documenti devono essere mandati in sestuplice copia (!!!) la quasi totalità dei posti sono già stati assegnati a tavolino e quindi, a meno che non siate uno dei miracolati con un santo in paradiso, non ci fate troppo la bocca.

Via APRI

(Le puntate precedenti le potete trovare qui e qui.)

Siamo arrivati al dunque. Con solo 6 mesi di ritardo finalmente dal ministero arrivano le valutazioni dei progetti. In realtà è disponibile solo una prima mandata di risultati (per alcuni settori ancora non si sa nulla) ma il quadro inizia a delinearsi. Intanto se siete stati valutati il Principal Investigator del progetto avrà ricevuto una mail in cui si dice se siete stati ammessi o meno alla seconda fase della valutazione; se non l’avete ricevuta vuol dire che il vostro progetto non è stato valutato. Se invece la mail l’avete ricevuta allora dovete collegarvi al sito https://loginmiur.cineca.it e scaricare la valutazione.

La prima cosa che salta all’occhio è che ciascun progetto è stato valutato da un solo referee (giustamente anonimo). La mia valutazione era scritta in inglese ma ho sentito da più parti di valutazioni in italiano segno che non tutti i referee erano internazionali; dato che la lista dei referee non è stata resa pubblica non si sa quanti fossero italiani e quanti internazionali e quindi è difficile giudicare l’imparzialità del giudizio. La seconda cosa che si nota è che sono stati ammessi alla seconda fase solo i progetti che hanno ottenuto un punteggio di 40 su 40. Tutti gli altri, anche quelli ottimi che però hanno ottenuto “solo” 39/40 per una qualche paranoia del referee, sono stati eliminati. Possiamo quindi dire che il fattore C ha giocato un ruolo notevole ma questo, in realtà, lo si sapeva già da prima (se avete 3800 progetti e ne potete finanziare 100 è ovvio che molti ottimi progetti resteranno fuori).

La terza cosa che salta all’occhio scorrendo la lista degli ammessi alle audizioni è che il numero di persone ammesse dalla linea 2 è molto maggiore di quelli della linea 1. Ora, questo ancora potrebbe non voler dire nulla ma nel bando era scritto esplicitamente che almeno metà dei fondi dovevano andare alla linea 1 (ovvero ai progetti presentati da giovani precari). Si spera che non facciano lo scherzo di dare i 2/3 dei soldi agli strutturati perché sarebbe tutt’altro che divertente.

Ora il prossimo passo (oltre che ai risultati per i settori mancanti) sono le audizioni che dovrebbero svolgersi a Roma fra Gennaio e Febbraio. Io non è che abbia un’idea chiarissima di cosa vogliano sentirsi raccontare all’audizione (mi interrogheranno per vedere se il progetto è veramente mio?) quindi, se qualcuno di voi ha qualche notizia, è pregato di farmelo sapere.

Comunque sia i risultati finali non arriveranno prima di Marzo e sospetto che poi dovrà ancora passare qualche mese prima che qualcuno venga effettivamente finanziato. Insomma, dalla scadenza del bando al finanziamento vero e proprio passerà, se tutto va bene, un anno e mezzo. Quanto sono cambiati i curriculum di chi ha mandato i propri progetti in 18 mesi? E quanto è andata avanti la ricercha? Non è che alcuni progetti che un anno e mezzo fa erano all’avanguardia sono diventati obsoleti? Il mio progetto ad esempio è (bene o male) andato avanti senza di loro e molte cose che avevo detto che avrei fatto nel primo anno le ho effettivamente già fatte. In più, mentre attendevo i risultati ho anche ricevuto due o tre ottime offerte da università straniere (che sospetto accetterò). Insomma: non è un po’ assurdo metterci tutto ‘sto tempo per valutare dei progetti di ricerca?

p.s.

Quando saprò qualcosa sulle audizioni lo posterò qui.

Il nostro 2009 by

3 Gen
2010

I tre articoli più letti:
1. Hai mica 20 milioni da prestarmi?
2. C’era una volta un FIRB (seconda puntata)
3. i soldi dei dottorandi

Le persone sono arrivate qui passando da..
1. frieda.it
2. FriendFeed
3. Facebook

..oppure cercando
1. faccio cose vedo gente
2. fcvg
3. vedo gratis

I link più cliccati sono stati
1. il bar di Wikipedia, sulla causa
2. il bar di Wikipedia, sull’assemblea di settembre
3. il post di PTWG “braccina di tutto il mondo uniamoci” che invitava a sostenere WMI

Andrzej Sapkowski non è un autore molto conosciuto in Italia. Anzi, a dirla tutta nessuno dei suoi libri è mai stato tradotto nel nostro idioma. Non voglio dire che ci siamo persi un novello Borges (alla fin fine è un autore di libri fantasy) ma insomma, nel nostro paese vengono tradotte e pubblicate delle porcate ignobili e quindi non si capisce bene perché far finta che questo autore non esista.

Comunque cominciamo dal principio: Sapkowski è uno scrittore polacco che, alla tenera età di 38 anni pubblica su Fantastyka (che sarebbe una rivista specializzata in racconti fantasy e di fantascienza analoga alle ben più famose Amazing Stories o Astounding Science Fiction) un racconto dal titolo Wiedźmin (che non è così impronunciabile come sembra se tenete conto che in polacco dź si pronuncia come la g dolce italiana) raccogliendo un gran successo sia di pubblico che di critica.

Come spesso capita da un racconto breve di successo vengono fuori altri racconti e, successivamente, anche una saga di romanzi. I racconti di Sapkowski (sia quelli derivati da Wiedźmin sia quelli che non hanno nulla a che farci) sono ben accolti, tanto che vengono esportati in gran parte del mondo slavo e tradotti anche in francese, tedesco, spagnolo e portoghese. Dato che io non parlo nessuna di queste lingue (ed il mio polacco non è abbastanza buono da poter leggere un libro) mi ero ormai rassegnato fin quando, un opaio di settimane fa, non ho trovato sugli scaffali di una libreria una recente traduzione in inglese di Krew Elfów (letteralmente “il sangue degli elfi”), il primo libro della serie di romanzi derivati da Wiedźmin.

Wiedźma in polacco vuol dire “strega” ma Wiedźmin è un neologismo che, di per sè, non vuol dire nulla e quindi è difficilmente traducibile. Sicuramente non vuol dire “stregone”, che sarebbe Czarownik e nemmeno “stregato”, che sarebbe urzeczony. Usando una perifrasi lo si potrebbe tradurre come “colui che si occupa di stregonerie” ma in inglese l’hanno (ottimamente) tradotto come “Witcher” anche se traduzioni che suonano come “stregone” (Warlock, Hexer, Sorceleur, Brujo ecc.) sono piuttosto comuni.

Comunque sia il personaggio principale NON è uno stregone e neppure un mago ma una sorta di cacciatore di mostri di nome Geralt. Non sto qui a raccontarvi la trama, dato che potete agilmente trovarla altrove, ma piuttosto vi dirò cosa me ne è parso.

Iniziamo col dire che Blood of Elves non è il l’inizio della saga dato che è preceduto da due raccolte di racconti (di cui il primo è stato tradotto in inglese e me lo procurerò al più presto). Di conseguenza l’autore non perde molto tempo a introdurre i personaggi e punta direttamente alla storia vera e propria. Io questa cosa l’ho trovata piacevole dato che trovo sempre un po’ stucchevoli i racconti dove si perdono pagine e pagine a descrivere quanto è muscoloso il protagonista o quanto bella è la principessa di turno. Voglio dire: i canoni del fantasy oramai li conosciamo (anche chi un libro fantasy non l’ha mai letto) e queste descrizioni servono platealmente solo ad allungare il brodo. Invece Sapkowski, invece di descrivere minuziosamente il carattere e la vita di ciascun personaggio, li fa agire e interagire, riusciendo a farci inquadrare ciascuno di loro senza dilungarsi inutilmente.

Il mondo in cui è ambientata la storia è un low-fantasy piuttosto classico dove gli elfi sono tutti invariabilmente alti, belli e nobili, i nani bassi rudi e di buon cuore ecc. Tuttavia si distingue per un’assenza quasi totale della dicotomia fra bene e male. Se è pur vero che da una parte c’è un imperatore tirannico che punta ed espandere i propri domini dall’altro lato i sovrani dei regni che rischiano l’invasione non sono propriamente degli esempi di specchiata virtù ma, piuttosto, dei sostenitori della realpolitik più spinta, disposti a qualunque cosa pur di mantenere (e perché no? Espendere) i loro domini. La trama politica è piuttosto involuta ma più realistica e comprensibile di quella che possiamo trovare nei libri di G.R.R. Martin. L’economia la politica, per quanto semplificate, giocano un ruolo importante in tutto questo: l’imperatore tirannico di qui sopra, impossibilitato per motivi geografici a conquistare con le armi nuovi territori, invade i mercati dei regni che gli resistono con merci a basso costo mandando in crisi le loro manifatture (Made in China anyone?) e spinge alla rivolta le minoranze etniche scatenando delle sanguinose guerre civili che ricordano molto da vicino la situazione fra Israele e Palestina. Stretto fra due fazioni entrambe nel torto il personaggio principale si trova a prendere una posizione neutrale rendendosi così nemico di tutti.

Insomma: “Blood of Elves” è un romanzo dall’apparenza piuttosto classica ma abbastanza profondo da avere almeno due livelli di lettura. Se siete amanti della Sword&Sorcery più tradizionale non resterete delusi, dato che di combattimenti (anche piuttosto cruenti) ce ne sono pure troppi. Se invece siete alla ricerca di un fantasy un filo più “adulto” potete saltare le dettagliate descrizioni dei duelli e gustarvi un romanzo più psicologico senza il peso di pagine e pagine di insopportabili monologhi interiori (come capita fin troppo spesso).

Essendo il primo libro di una saga di 5 romanzi però non vi aspettate che ci sia un finale degno di questo nome. Tutto è rimandato ai libri successivi che ancora non si trovano (il secondo però dovrebbe uscire in inglese nei prossimi mesi quindi non tutte le speranze sono perdute).

p.s. Nell’improbabile caso che ci sia un editore all’ascolto il mio vivo consiglio è quello di dare una chance a questa saga. Se ha avuto successo nei tre quarti dell’europa perché non dovrebbe averne anche da noi?

Caro VB.. by

30 Dic
2009

Breve riassunto dei fatti: Vittorio Bertola scrive una voce su Wikipedia che gli viene cancellata immediatamente, poi passa un po’ di tempo a cercare di capire come contattare “chi di dovere” e alla fine racconta la vicenda sul suo blog (che viene ripresa anche da Quintarelli). Per capire di cosa stiamo parlando è meglio se leggete i loro blog, prima.
*****************
Rispondo a Vittorio, come farei su Wikipedia, se il suo sfogo fosse scritto lì invece che sul suo blog.

Pare infatti che una pagina simile (sotto un titolo diverso e sbagliato: infatti quando ho cominciato a scrivere la mia non ho visto alcun avviso in merito) fosse stata realizzata mesi fa e poi cancellata

Vero. Però quando hai creato il redirect da “Movimento Cinque Stelle” a “Movimento 5 Stelle” ti è comparso questo (click per ingrandire):

L'avviso sulle versioni cancellate

certo, la cancellazione del 26 dicembre non c’era ma quella del 21 ottobre sì. C’è un bel warning sufficientemente chiaro direi: Attenzione: si sta per ricreare una pagina già cancellata in passato. Accertarsi che sia davvero opportuno continuare a modificare questa pagina. L’elenco delle relative cancellazioni e degli spostamenti viene riportato di seguito per comodità:.
Nessun dubbio leggendolo?

Già questo sarà per molti una sorpresa: vi dicono che chiunque può contribuire liberamente a Wikipedia, ma non è proprio così; gli amministratori di Wikipedia hanno un potere di censura sui contenuti, e lo usano tranquillamente come gli pare.

Gli amministratori di Wikipedia vengono eletti dalla comunità e ad essa rispondono, la comunità può anche decidere di revocarli.

E anche quando vi dicono che Wikipedia è libera da censure perché uno può sempre consultare la cronologia per recuperare i contenuti eliminati, mentono sapendo di mentire: a parte che nessun utente che non sia un tecnico saprebbe mai capire come si usa la cronologia, in caso di cancellazione la pagina sparisce completamente.

Gli utenti non tecnici possono leggere il manuale; le pagine cancellate non spariscono completamente, sono accessibili solo agli amministratori. L’informazione è tutto fuorché top-secret, essendo scritta a chiare lettere nella pagina che ho appena linkato: “Le pagine che sono state cancellate (da non confondersi con le pagine che sono state svuotate) costituiscono un’eccezione, in quanto l’unico documento visibile ai non amministratori è il “log” di cancellazione. Tuttavia, la cronologia viene conservata e può essere recuperata da un amministratore effettuando il ripristino della pagina cancellata (vedi anche: Recupero cronologia).”

E invece no: di lì in poi, è l’inferno. Cerchi di capire come si fa a chiedere di rivedere la decisione, ma sul sito trovi solo decine di paginette wiki senza alcun filo logico, con istruzioni incomprensibili e talvolta contraddittorie; qualsiasi cosa tu voglia fare, perderai venti minuti cercando di capire qual è il modo giusto di porre la questione; non si trova nulla, nemmeno una mail di contatto.

Non avendo Wikipedia una redazione che possa rispondere, tutto il progetto è improntato alla massima trasparenza e discute tutto online sulle pagine di discussione.
Per chi non è in grado di farlo, esiste in bella vista un link contatti:

I contatti

Nei contatti, dopo essere stato sufficientemente scoraggiato dal farlo, trovi un link che ti porta a trovare un indirizzo email. Non si discute con Wikipedia via mail, perché non c’è nessun signor Wikipedia che possa rispondere, ma solo dei volontari che già rispondono a troppe richieste.

Alla fine, ma solo grazie alla pagina dei contatti di Wikimedia Italia (che la mette in negativo: “leggete qui invece di scriverci rompendoci le palle”), ho trovato questa pagina, che spiega come chiedere la revoca del bando perpetuo di una voce che segue a una cancellazione.

Si fa presto a dire “che la mette in negativo”. Wikimedia Italia è una associazione culturale non profit che tutti scambiano per il gestore di Wikipedia. Se non mettiamo dei disclaimer truci passiamo il nostro tempo a rispondere a delle mail dicendo “no, non siamo noi, vi siete sbagliati”. E non si tratta di uno scaricabarile, come sottendi tu, ma di quanto scritto nello statuto dell’associazione, art.3: “i suoi obiettivi includono il sostegno ai progetti di Wikimedia Foundation, Inc. nel suo complesso e non solamente a quelli in lingua italiana. Wikimedia Italia non ha interesse a intervenire nella gestione dei siti di Wikimedia Foundation, Inc.”.

l’altro mito del fatto che le persone non abbiano bisogno di una fonte autorevole e competente per garantire la veridicità di una informazione

E questo dove l’hai letto? Nelle nostre policy si dice esattamente il contrario.

Caro Vittorio, ho la nettissima impressione che come milioni di altre persone in Italia e nel mondo, tu abbia deciso di collaborare a Wikipedia senza nemmeno porti il problema di cosa stavi facendo e a quale progetto stavi partecipando. Mi rendo anche conto che scoprire che ci sono delle regole quando ci stai cozzando contro non è il massimo della vita.. ma quelle informazioni c’erano anche prima e ti sono stati forniti tutti i riferimenti utili fin dalla tua registrazione.

Sono certa che a colpi di citazioni di fonti autorevoli riuscirai ad uscire dall’impasse di questa discussione, come farebbe qualunque wikipediano.

Heather Ford ha fatto parte dell’Advisory Board di Wikimedia Foundation fino a luglio di quest’anno. Io l’ho incontrata a Taipei, durante Wikimania 2007, quando facevo parte del board.
Oggi sul suo blog ho trovato un post che ritengo molto interessante: perché quest’anno non sosterrò Creative Commons o Wikipedia.

È quel periodo dell’anno un’altra volta. Creative Commons e Wikipedia stanno lavorando per raggiungere gli obiettivi delle loro raccolte fondi per l’anno che viene e chiedono agli utenti di donare per sostenere la causa.

Ho trascorso gli ultimi cinque anni lavorando alla costruzione di una prospettiva globale sui commons e probabilmente passerò il prossimo a cercare di capire cosa ho sbagliato. Ho lavorato direttamente con entrambe le organizzazioni durente questo periodo, quindi per me è particolarmente triste dire queste cose (e probabilmente anche non troppo furbo dal punto di vista politico) ma ho l’impressione che l’unico modo in cui siamo riusciti ad affrontare il problema della mancanza di un progetto globale e della solidarietà globale sia stato tramite i finanziamenti. Ecco le mie ragioni in breve:
РCreative Commons (nonostante le pressioni da parte dei volontari internazionali) ha ancora una leadership soprattutto maschile, soprattutto bianca, quasi del tutto americana. Se CC ̬ davvero impegnata in un progetto internazionale, allora deve almeno provare a coinvolgere leadership diverse nella pianificazione per il futuro
– Lo so che è una campagna di raccolta fondi ma affermazioni come questa da parte di Hal Abelson: “Sostenendo Creative Commons, stai aiutando a realizzare la promessa di Internet di risollevare tutta l’umanità” mi lasciano senza parole. Sebbe abbiamo un programa internazionale comune, sebbene “tutta l’umanità” o almeno la maggior parte ci partecipa (il Sud Africa è l’unico paese africano nella scuderia internazionale di CC), dovremmo vergognarci di rilasciare dichiarazioni come questa.
Wikipedia progetta di spendere 9,4 milioni di dollari nell’anno fiscale 2009-10 (il 53% in più dell’anno scorso) e ha, finalmente, un piano per distribuire parte dei fondi tramite un programma di sovvenzioni per cui sono stati stanziati 295000$ (quindi solo il 3% dei soldi che vanno ai chapters, ma è meglio di niente). Il problema è che questo soldi sembra che andranno unicamente ai chapters esistenti (non ci sono chapters in Africa). Questo significa che, se vuoi che i soldi vadano specificamente per lo sviluppo del continente africano, non puoi farlo perché puoi donare solo a Wikipedia o a un chapter di Wikipedia esistente.

Penso che una delle cose peggiori che le organizzazioni che hanno uno scopo globale possano fare è fermare le persone di paesi che sono fuori dai programmi dal donare soldi. Anche se è un piccolo importo, CC e Wikipedia stanno perpetuando il mito che non ci interessano queste cose in Africa.

Il mio piccolo contributo è, invece, andato a Global Voices. Loro distribuiscono la piccola somma di denaro che ricevono piuttosto ampiamente e il gruppo che li capitana raggiunge almeno ogni regione.

L’articolo è preso dal blog di Heather ed è rilasciato in CC-BY-3.0-usa, la (pessima) traduzione è mia

Il post di Heather mi ha colpita per diverse ragioni:
* sebbene l’Advisory Board di WMF sia un organo parecchio bistrattato e sostanzialmente inutile, Heather ha avuto modo di conoscere da vicino la realtà di WMF e quindi sa di cosa sta parlando
* il tema dell’Africa è sempre stato piuttosto centrale per WMF. Ricordo bene il vecchio progetto di Jimmy (nome in codice “Wikipedia 1.0”) di stampare Wikipedia e distribuirla gratuitamente in Africa come materiale di studio.. progetto poi abbandonato per mille difficoltà tecniche ed economiche (una su tutte: ma in Africa a quanti può servire un’enciclopedia in inglese? Le altre edizioni, all’epoca, non erano sufficientemente sviluppate). Gli organizzatori di Wikimania 2007, quella a Taipei appunto, avevano un certo numero di borse disponibili per sovvenzionare completamente degli utenti africani che avessero voluto partecipare all’evento. Sebbene numerose ricerche e solleciti e quant’altro, le borse sono rimaste inutilizzate. Last but not least, nel 2008 Wikimania si è svolta nella biblioteca alessandrina ad Alessandria d’Egitto. Sebbene il notevole sforzo organizzativo e il coinvolgemento della popolazione locale, non c’è stato alcun seguito evidente (facendo riferimento a quanto scriveva Heather, nessun chapter è stato creato.. sebbene all’evento fosse presente l’allora Chapters Coordinator, e diversi chapter locali).
* Wikimedia Italia porta avanti, senza troppo dispendio di energie per essere sinceri (ma non per cattiva volontà quanto per la difficoltà del progetto stesso), insieme a Lettera27, il progetto WikiAfrica. I nostri partner, grazie ai contatti nell’ambiente letterario ed artistico, sono molto più attivi di noi. Chissà che nel 2010 non riusciamo un po’ a migliorare il nostro contributo.. il vero problema è che noi siamo qui, in Italia, e capire l’Africa e le sue dinamiche ci pone diversi problemi: linguistico, culturale, tecnologico.. quali sono i bisogni? quali sono le risorse a disposizione? Forse Heather saprebbe aiutarci.

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