Cadere in basso by

21 Ago
2008

Carolina Kostner è una brava pattinatrice. Giovane, carina e vincente quel tanto che basta da far accendere molte lucine nelle teste dei creatori di idoli “usa e getta”. Insomma, quando ti ricapita una ventenne con la faccia ancora fanciullesca, un palmarès da far morire di invidia, uno splendido futuro da iper-campionessa che le si apre davanti e quel tanto di adolescenziale capricciosità da poterne fare del gossip? Fra lei e Frederica Pellegrini abbiamo idoli da far osannare ed imitare per tutte le stagioni.

Risultato: alle olimpiadi invernali di Torino 2006 si crea un hype pazzesco. Pare che debba vincere tutto lei. Viene coccolata, intervistata, vezzeggiata. Fa pure la portabandiera (a 18 anni ed alla sua prima olimpiade). E guarda un po’, complice la tensione, la sfortuna o (molto più semplicemente) il fatto che le sue avversarie non erano proprio scese con la piena, perde. Arriva nona. In realtà arrivare noni alle olle olimpiadi quando hai 18 anni e sei alla tua prima esperienza del genere è un risultato stratosferico. Avrebbe dovuto ricevere plausi ed incoraggiamenti a non finire. Però c’erano quelle aspettative, quella montagna di aspettative create dai giornalisti sportivi e dai pubblicitari e cucitele addosso. E le aspettative sono state deluse.

Carolina Kostner è una alteta. Nel frattempo vince due volte gli europei e si piazza benissimo nei mondiali. Tra l’altro è pur sempre una ventenne caruccia e col visino da bambina. È un mito buono per le prossime olimpiadi.

Le fanno anche fare qualche pubblicità. Brutte (odiosa quella cosa del mulino bianco con la canzoncina rifatta sulle nota di Nightmare before Christmas), ma non è che si possa pretendere troppo dalle pubblicità.

Poi il crollo. Un paio di giorni fa la vedo in una pubblicità del CEPU… Insomma, una persona evidentemente abituata a farsi il mazzo per raggiungere i suoi scopi, una persona che sa (deve sapere) che non esistono scorciatoie facili, una persona che probabilmente un po’ di soldi in tasca li ha, va a studiare al CEPU? Siamo pazzi? Non faceva una più bella figura se si pagava un bravo neo-dottorato (o un neo-laureato se i dottori le stanno antipatici) per farsi insegnare? Spendeva meno, imparava meglio ed evitava di rendersi ridicola.

La speranza è che lei non studi veramente col CEPU ma l’abbiano solo pagata per dire che lo fa. Insomma, che lo abbia fatto solo per denaro.

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Meritocrazia e ricerca by

20 Ago
2008

In seguito alla legge Bassanini (del ’97) venne istituito il Comitato di Indirizzo per la valutazione della Ricerca allo scopo di “promuovere l’attività di valutazione della ricerca attraverso il sostegno alla qualità ed alla migliore utilizzazione scientifica della ricerca nazionale“. Nel ’99 questo ente inizia i propri lavori e, nel 2006, finalmente se ne esce con una relazione finale (relativa agli anni 2001-2003) dove viene valutata la produttività scientifica delle università italiane.

A me che sono ingenuo questo sembrava un primo timido passo verso l’introduzione di un po’ di meritocrazia nella ricerca scientifica italiana. Insomma, un metodo per dirottare i (pochi) fondi a disposizione verso quelli che li usavano proficuamente invece che buttarli a pioggia su tutti. Invece nel 2006 il CIVR scompare dalle scene, il sito internet lasciato in totale stato di abbandono e i risultati della sua valutazione passati nel dimenticatoio.

Insomma, non c’è male. Ancora una volta siamo riusciti ad affossare un tentativo di resuscitare la nostra ricerca…

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Olimpiadi on-line by

12 Ago
2008

Senza voler fare il cracker o voler violare chissà quali regole, se come me non riuscite a seguire lo olimpiadi sul sito della rai potete seguire le istruzioni di Pablo Monroe e vederveli su VLC.

Un’alternativa (ma solo se siete sotto linux) è installare mplayer e, da shell, digitare mplayer -cache 512 “mms://a1534.l5609021533.c56090.e.lm.akamaistream.net/D/1534/56090/v0001/reflector:21533” (grazie a Brownout per l’aiuto).

Doping by

7 Ago
2008

Siamo a meno di 24 ore dall’inizio dei giochi olimpici. Nelle ultime settimane siamo stati (come era del resto prevedibile) bombardati da notizie shock su casi di atleti trovati positivi a questa o quella sostanza.

Da un lato chi organizza una competizione sportiva ha il diritto/dovere di proteggersi da atleti “disonesti” che pompano le proprie prestazioni non tanto con l’allenamento e le doti innate (che pure molti hanno) ma con metodi “artificiali”. È un fattore di onestà intellettuale verso chi, invece, basa tutto sul sudore della propria fronte.

Dall’altro lato si può obiettare che chi è senza peccato scagli la prima pietra. Il confine fra un aiutino innocente ed il doping è spesso labile: io stesso prendo una media di 2 caffè al giorno per stare sveglio. Un mio compagno all’università era solito, nei periodi di esame, di assumere ogni giorno una fialetta di ginseng  per riuscire a studiare più a lungo. Alcuni miei compagni di palestra per un certo periodo assumevano guaranà. E nessuno di noi si è mai sentito un drogato. Da prendere molta caffeina per stare svegli ad assumere degli integratori alimentari a prendere “qualcosa” che migliori le nostre prestazioni il passo è breve. Soprattutto se non siamo consapevoli degli effetti collaterali.

Per la cronaca: assumere molta caffeina è considerato doping.

A rendere più complicata (e quindi più interessante) la faccenda arrivano un paio di articoli pubblicati, rispettivamente, su Science e su Nature.

Nel primo, dal titolo “Does doping work?“, Martin Enserink ci fa notare come ci sia poca o nessuna ricerca scientifica seria sulla reale efficacia di molte sostanze dopanti. La stessa eritropoietina (meglio nota come EPO), sostanza molto usata per “dopare” gli atleti degli sport di fondo, è stata oggetto di soli 4 studi dove si testassero le sue reali capacità di migliorare le prestazioni sportive (e, credetemi sulla parola, 4 sono pochi). Trale altre cose il risultato di questi studi è stato che effettivamente l’EPO aumenta la concentrazione di ossigeno nel sangue (e quindi aumenta le prestazioni fisiche) ma solo per tempi piuttosto brevi

Insomma, un ciclista o un fondista prendono l’EPO (con tutti i rischi che questo comporta per la salute e col rischio di essere beccati al test antidoping) per migliorare le proprie prestazioni e questo effetto dura solo per un tempo breve, molto più breve della durata media della loro gara. Alla fine hanno solo rischi e controindicazioni senza alcun vantaggio reale.

Sento già il coro di voci che si solleva: “Ma cosa dici? L’EPO funziona eccome. I medici lo sanno. Io lo so. E poi, se non funzionasse, perché sarebbe nella lista delle sostanze vietate?”. Ecco, io non sono un medico e nemmeno un biochimico, però se Science mi dice che ci sono stati solo 4 studi io, fino a prova contraria, ci credo. E 4 studi vuol dire poca o nessuna evidenza scientifica. Se poi quella poca dice che l’EPO non serve a niente allora magari due domandine sulla sua reale efficacia inizio a pormele. La questione della lista delle sostanze vietate poi ha una semplice spiegazione: se è vero che in molti guardano questa lista come una fonte attendibile sulle sostanze dopanti (“se è lì allora vuol dire che aumenta le mie prestazioni”) è altrettanto vero che per gran parte delle sostanze ivi contenutesi si sa bene che non hanno alcun effetto benefico (e se ne conoscono bene gli effetti negativi). Però non le si può togliere perché toglierle avrebbe l’effetto psicologico che, siccome non sono vietate, allora è lecito farne uso. E quindi restano dove sono e centinaia di atleti continua a prenderle, danneggiando gravemente il proprio organismo, senza ottenere alcun beneficio. Ha dell’ironico se ci pensate…

Nel secondo articolo (“The science of doping“) Donald A. Berry sottolinea come i test antidoping siano procedimenti lunghi e complicati. In queste condizioni è al limite dell’impossibile poter dire con certezza matematicase tizio, caio o sempronio hanno fatto uso di sostanze dopanti o banalmente quei valori siano assolutamente normali nel loro organismo (che un atleta olimpionico abbia delle analisi del sangue diverse dalle mie non mi stupisce più di tanto). Il meglio che si può fare è dare una significatività del test in senso statistico. Questo comporta che non ci si possa mai affidare ad un solo test o ad un solo campione di sangue/urina; è necessario compiere test diversi ed indipendenti per raggiungere una ragionevole certezza. Ricordiamoci che alla fine essere trovato positivo ad un test antidoping può voler dire la fine della propria carriera per un atleta.

Questo, in teoria, viene fatto. Berry però ci parla delcaso di Floyd Landis (che io, non seguendo il ciclismo, non conoscevo), trovato colpevole di aver assunto del testosterone sintetico durante il Tour de France 2006.  Berry mette sotto accusa sia le procedure statistiche utilizzate per analizzare i risultati dei vari test che il metodo usato per discriminare fra risultati positivi e negativi nei vari test (metodo che non è stato reso pubblico ma che, invariabilmente, comporta un certo grado di arbitrarietà e quindi necessita una giustificazione esplicita). I dettagli di queste accuse sono un po’ tecnici e non posso dire di aver capito (o di essere in grado di giudicare) tutti i suoi punti. Però è interessante che una persona che di questi test si occupa in modo professionale sollevi questi dubbi. Sono curioso di leggere le risposte che arriveranno nelle prossime settimane alla posta di Nature.

i soldi dei dottorandi by

5 Ago
2008

Antefatto: a fine 2007 è passato un emendamento che decretava un aumento dello stipendio dei dottorandi dagli 800 euro circa (la cifra esatta varia da ateneo ad ateneo ma io prendevo 814 euro al mese) ad una cifra vicina ai 1200 euro (vedi).

Tutto bene? Tutto fantastico? Dobbiamo tirare un sospiro di sollievo ed inneggiare a chi, finalmente, ha fatto qualcosa di giusto e condivisibile? Magari mi attirerò gli strali di molti ma a me non pare ‘sta gran genialata aver fatto questo emendamento.

Premetto subito che non sono più un dottorando (anche se lo sono stato fino a pochi mesi fa) e che conosco per esperienza diretta solo le facoltà scientifiche dell’ateneo fiorentino. Immagino che molti dei miei ragionamenti non possano essere aplicati così come sono ad altri atenei ed altre facoltà. Tuttavia penso che si possano fare alcune considerazioni abbastanza generali.

Intanto sgombriamo il campo da possibili equivoci: almeno per le facoltà scientifiche i posti di dottorato non mancano. Anzi, ce ne sono così tanti che spesso non si trovano abbastanza iscritti ai concorsi per coprire tutti i posti. Il numero di borse (ovvero di posti dove ti danno uno stipendio) è più limitato ma comunque non è difficilissimo reperire un qualche finanziamento o un posto con borsa in un dottorato di argomento affine al proprio. Insomma, io non ho mai visto nessuno che volesse fare un dottorato e che non ci sia riuscito. Anche gente non particolarmente brillante. Anche gente non troppo interessata a fare ricerca.

In fisica poi il rapporto fra laureati  e dottorati all’anno è pazzesco. Qui a Firenze negli ultimi anni c’è stato un tale calo delle iscrizioni che oramai non si supera le 20 matricole all’anno. Di queste solo una decina arriva a laurearsi (quando mi sono iscritto io eravamo 90 matricole e ci siamo laurati in non più di 20) per trovarsi davanti a 8 posti con borsa per il dottorato in fisica, 3 posti con borsa del dottorato del LENS, un paio di posti con borsa del dottorato in scienze dei materiali e un paio di posti con borsa del dottorato in sistemi complessi. A questi si aggiungono i dottorati dell’INFN (che però sono a carattere nazionale) ed altri dottorati “minori” che magari non hanno sede proprio a Firenze ma in comuni limitrofi.

Considerando che chi si iscrive al dottorato la qualifica di dottore di ricerca la ottiene in maniera praticamente automatica (anche se non ha pubblicazioni, anche se ha fatto una tesi di qualità scadente) siamo all’assurdo che ci sono quasi più dottorati che laureati ogni anno.

Fin qui nulla di troppo deleterio. Alla fin della fiera in ambito scientifico (come in matematica, fisica, chimica, biologia ecc) avere un dottorato non fa mai male. Chi esce dal dottorato avrà una conoscenza superiore a quella di un laureato, avrà imparato a gestire un ramo di ricerca in maniera semi-indipendente e, se tutto va bene, avrà iniziato a farsi un nome nell’ambiente.

Il vero problema è che il passo successivo, se si vuole continuare nell’ambito della ricerca, sarebbe quello di diventare ricercatore (passo che può essere mediato da qualche anno come assegnista di ricerca). E qui casca l’asino. Infatti di soldi per pagare gli assegni di ricerca non ce ne sono. Del mio anno ci sono state otto persone che sono entrate al dottorato in fisica, tutte si sono dottorate e solo in due siamo riusciti ad avere un assegno (ed uno dei due l’assegno se lo è trovato a Parigi, qualcuno si ricorda della famosa “fuga dei cervelli”?). Gli altri hanno dovuto, volenti o nolenti, abbandonare la ricerca universitaria.

Ancora se la selezione dell’unico assegno di ricerca che è stato trovato (e che, per la cronaca, ho preso io) fosse stato fatto su fondamenti squisitamente meritocratici uno se ne potrebbe fare una ragione. Il vero problema è che io l’assegno l’ho avuto perché il mio relatore di dottorato è riuscito a trovare i soldi, non perché fossi il più bravo. Altre persone (che non faccio fatica a riconoscere più brillanti di me) hanno ricevuto una solenne stretta di mano e basta.

Entrare come ricercatore poi è così improbabile da essere quasi esilarante. I posti di ricercatore sono banditi a livello nazionale dal ministero che decide sia l’argomento che l’ateneo a cui i posti sono associati. Il problema è che in Italia i posti non vengono banditi perché non ci sono i soldi e anche quando i bandi vengono fatti ed i posti assegnati il tutto resta lettera morta perché le facoltà non riescono a reperire i fondi per pagare gli stipendi.

Alla fine l’effetto dell’aumento di stipendio ai dottorandi (aumento che non si sa bene quando avverrà dato che i soldi non ci sono) è quello di incentivare i laureati ad intraprendere la carriera accademica (dandogli uno stipendio pari a quello dei ricercatori) senza però fornirgli alcun tipo di prospettiva a medio e lungo termine. In pratica lo scopo sembra essere quello di aumentare il numero dei dottorandi (che nelle statistiche figura sempre bene) e poi di farli emigrare appena prendono la qualifica di dottori di ricerca.

Come effetto collaterale pare che (a titolo di esempio) l’università di Firenze non bandirà alcun posto di dottorato nel 2009 perché non ha i soldi per pagarli.

Ma aumentare gli stipendi dei dottorandi (con i fondi, già più che traballanti, degli atenei) fa più scena che organizzare una seria riforma del finanziamento alla ricerca e dell’università che introduca un filo di meritocrazia (dove per “merito” si intende saper fare le cose, non stare simpatici a qualcuno in alto).

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Ora, quanto abbiamo visto fin qui non è niente di straordinario: un genio che fraintende un altro genio.

La cosa particolare è che entrambe le interpretazioni di Keplero col tempo risultarono esatte: Giove ha effettivamente una macchia rossa (una immensa tempesta plurimillenaria), e Marte ha due satelliti, Phobos e Deimos!

Phobos e Deimos sono in seguito stati chiamati così proprio in omaggio ai mitologici figli di Marte.

La macchia rossa è stata (ri)scoperta circa 300 anni dopo, nel 1885, mentre i due satelliti sono stati scoperti solo nel 1877.

Un caso di preveggenza? No.
In realtà da una stringa di oltre trenta caratteri possono essere tratte diverse ricombinazioni (diversi miliardi), alcune con un certo significato, se si accettano un latino e degli eufemismi “elastici” come quelli tipici della lingua seicentesca.
Keplero cercava frasi interpretabili in senso astronomico, e per puro caso ha ottenuto due affermazioni vere.

Insomma, va bene essere geni, ma una bella botta di fortuna è comunque gradita!

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Solo in altre due lettere, sempre a Keplero e mandate in copia a Giuliano De’ Medici, ambasciatore toscano a Praga alla corte di Rodolfo II, Galileo svelò il significato dei suoi anagrammi.
Il primo nella mente del genio italiano significava
“ALTISSIMUM PLANETAM TERGEMINUM OBSERVAVI”
cioè
“Ho visto il pianeta più alto è in forma triplice”
che tradotto in “astronomistico” significa
“Orpolà, Saturno ha due lune!”

Ok, non è vero, qui Galileo l’ha cannata: ma, suvvia, mettetevi nei suoi panni!
Questa è stata la prima osservazione degli anelli di Saturno, che con la poca potenza del telescopio galileiano apparivano alle estremità come due corpi distinti.

Il secondo anagramma invece secondo Galileo voleva dire
“CYNTHIAE FIGURAS AEMULATUR MATER AMORUM”
ossia
“La madre degli amori emula le figure di Cynthia”
Sapendo che “Cynthia=Luna” e “Mater amorum=Venere”, Galileo aveva scoperto nientemeno che la somigliarità delle fasi di Venere con le fasi lunari!

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Keplero trascrisse l’anagramma come
“SALVE UMBISTINEUM GEMINATUM MARTIA PROLES”
cioè
“Salve, o gemelli furiosi, figli di Marte”.
Tradotto in termini astronomici: “O cavolo, Marte ha due satelliti!”

In una seconda lettera Galileo, evidentemente impratichitosi con gli anagrammi, scrisse:

HAEC IMMATURA A ME IAM FRUSTRA LEGUNTUROY
in un “latinorum” intellegibile dal vago significato di “Queste [cose] non finite sono da me raccolte invano”
Anche Keplero si era impratichito, e tradusse con
“MACULA RUFA IN IOVE EST GYRATUR MATHEM ECC.”
cioè un chiaro
” C’è una macchia rossa su Giove, che gira con moto matematico”.
A qualcuno viene in mente qualcosa dagli studi liceali (magari non Cydonia di cui parleremo un’altra volta)?

Tutto questo tra il 1610 e il 1611.

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Galileo Galilei era scenziato e persona prudente, poco avvezza a sbilanciarsi al traino dell’entusiasmo.

Con il suo atteggiamento scettico e pacato riuscì anche a irritare l’amico Johannes Kepler quando nel 1597 gli fece avere una copia in anteprima del “Mistero Cosmico”: Galileo non si espresse in un giudizio pubblico, ma si limitò a scrivere allo scienziato tedesco.
Keplero gli fece notare -stizzito- che le sue opinioni gli erano necessarie per combattere i “fuffari” dell’epoca (“avete sottolineato […] l’atteggiamento di ritirarsi davanti all’ignoranza del mondo […] di non provocare alla leggera, il furore dei dottori ignoranti…”).

Passarono 12 anni in cui Galileo non scrisse più a Keplero: 12 anni senza neanche una telefonata, una mail… ma era normale allora.
Nel 1608 Galileo presentò il “Sidereus Nuncius”, dove esponeva le sue scoperte astronomiche. Keplero rispose alla pubblicazione con una “Dissertatio” in cui approvava in pieno il lavoro dell’Italiano.
Questo appoggio incondizionato, sulla parola, gli costò 3 anni di dure critiche e richieste di prove da parte della comunità scientifica tedesca, a cui pose fine con la pubblicazione del “Dioptricae”, un trattato sulle lenti.

In seguito, Galileo scrisse di nuovo a Keplero, ammirandolo per il suo lavoro, e annunciando nuove scoperte; scoperte ancora troppo arretrate per essere pubblicate, ma di cui Galileo voleva assicurarsi la paternità visti i problemi avuti con altri scienziati che si arrogavano l’invenzione del telescopio.

Galileo per protezione scrisse allora all’amico una prima lettera, contenente una parola:
SMAISMRMILMEPOETALEUMIBUNENUGTAURIAS
Un anagramma, da cui dedurre di cosa trattasse la grande scoperta.
continua

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continua
Nel 1971 John Lennon scuote il mondo cantanto Imagine. Vogliamo perdere un’occasione così? No, e infatti niente meno che Ornella Vanoni ci canta “Immagina che”. E mentre l’Illuminato Lennon ci dice di abbandonare contrasti religiosi, odii, divisioni razziali e di darci alla fratellanza spirituale dell’umanità, la Vanoni ha ben altri guai per la testa!
E’ preoccupata per il suo belloccio, perchè “Immagina che per caso / domani qui / arrivi un’altra / non ti so dire chi / Immagina che qualcosa / passi tra di noi”, per poi chiosare con una delle rime più terrificanti degli ultimi 50 anni: “Non è vero ma succede / viene sempre un’ora blu / e se solo il cuore cede / stammi più vicino tu”.

Negli States Bob Dylan con armonica e chitarra faceva garrire la bandiera della libertà, ma era costretto a replicare furiosamente alle aspre critiche ricevute cantando “ti tirano pietre quando torni a casa / ti tirano pietre poi ti dicono che sei coraggioso / ti tirano pietre quando giaci nella tomba / ma io non mi sentirei così solo / tutti quanti siamo lapidati”.
Antoine, senza dubbio un intellettuale, invece porta al Festival di Sanremo “Tu sei bello e ti tirano le pietre. / Tu sei brutto e ti tirano le pietre. / E il giorno che vorrai difenderti vedrai / che tante pietre in faccia prenderai!”.
Perché combattere per le tue idee? Tanto perderai! Sottomettiti e risparmiaci la fatica!
No, non gli basta massacrare il testo e lo stile poetico: per andare a Sanremo anche la musica deve essere originale, così anche l’arrangiamento viene fatto a pezzi con un machete pur restando un riconoscibilissimo plagio.

Conoscete “Bandiera Gialla” di Gianni Pettenati? Un pastrocchione estivo e festaiolo “Sì quest a sera è festa grande, / noi scendiamo in pista subito / e se vuoi divertirti vieni qua”. Classico tormentone stracciamaroni da balera di spiaggia.
In originale invece era una ardita metafora amorosa, molto penzolante sul filo del rasoio… un uomo che invitava una ragazza a seguirlo. “Seguimi piccola, / sono il pifferaio magico / Seguimi piccola / non vedi che sono il pifferaio magico / Fidati / sono il pifferaio magico / e ti mostrerò la strada” (Crispian St. Peters, The Pied Piper). Altra cosa.

“Hello, darkness, my old friend / I’ve come to talk with you again / Because a vision softly creeping / Left its seeds while I was sleeping / And the vision / That was planted in my brain / Still remains / Within the sound of silence”.
Chi non conosce questa canzone? Simon & Garfunkel , “Sound of Silence” ovviamente, e chi non la conosce si punisca.
Un tal Dino, evidentemente personaggio con poca dismetichezza con l’albionico idioma, ci propina il melenso “Se tu guardi gli occhi miei / che hanno pianto per amor / che han versato t ante lacrime / puoi trovarci la tua immagine / quel tuo viso, quella bocca, / che baciai, che baciai”.

Questo Dino evidentemente di inglese ne sa poco, o si fuma l’impossibile; nella cover di “I saw her standing there” dei Beatles chiede all’incolpevole ragazza “Torna con me sulla Luna”. Peccato che fosse il 1964 e la Luna fosse lontana ancora circa 5 anni…

E vi ricordate Andrew Lloyd Webber, che creò quell’icona generazionale di “Jesus Christ Superstar”? Da noi, degli anonimi Flora, Fauna e Cemento hanno ben pensato di tradurre il dolore di Giuda e la risurrezione con “Lei non c’è, lei non c’è / esce con tutti ma non con te / vieni al bar, vieni al bar / e lascia perdere Superstar / Superstar credimi, ama far piangere gli uomini / Superstar credimi, gode a far piangere gli uomini”, dove la Superstar in questione è una ragazza dai costumi discinti…

I Beatles in una loro canzone, “Day tripper” facevano l’apologia velata dell’uso di droghe, dei viaggi sintetici…invece Augusto Righetti con le stesse note riferisce alla sua donna il messaggio “Non sei dritta” (nel senso di “furba”). Più politically correct, ma non altrettanto beat.

Anche gli Intoccabili cadono: persino Mogol si fa traviare con “Come una pietra che rotola”, in-cantevole (nel senso di non-cantabile) versione di indovinate quale canzone del Menestrello Dylan?

Patty Pravo prende “But you are mine” di Sonny Bono e lo trasforma in un “Ragazzo triste”. Credo fosse triste per aver sentito la traduzione.

Addirittura il Poeta, De Andrè, si è prestato a traduzioni azzardate per altri cantanti (una su tutte “La famosa volpe azzurra” per la Vanoni, da un originale di Leonard Cohen, che trasporta i fatti dalla “Cool New York” alla “Milano da Bere”), ma fortunatamente non ne ha mai volute per sè.

Un Luigi Tenco in crisi d’ispirazione risponde a “Blowing in the Wind” di Dylan (bersaglio preferito degli strimpellatori nostrani) con un anonimo e banale “La risposta è caduta nel vento”.
Meno male che ci pensa lo scrittore Douglas Adams a dirci quante strade deve percorrere un uomo prima che puoi chiamarlo uomo: ovviamente, 42.

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