Varie ed eventuali by

4 Nov
2008
  • Quando ho letto che Guzzanti accusava la Carfagna di essere al governo per via di certi favori fatti al premier ho immediatamente pensato a Sabina (Corrado è troppo signore e Caterina non molto dentro la battaglia politica). Poi vado a leggere l’articolo su Rep e scopro che si tratta del padre, Paolo Guzzanti. Senatore per il popolo delle libertà. Ammetto in certo stupore ed un certo divertimento.
  • Dell’Utri dichiara che l’antimafia costa troppo e che comunque non dovrebbe permettersi di indagare dei politici. Sono l’unico a vedere un certo conflitto d’interessi in questa dichiarazione?

Sbirciando i sottopancia dei miei contatti su Skype ho trovato questo e ho pensato di segnalarlo al mio coautore. JB, allei!

Il metodo Cossiga by

30 Ott
2008

“Mi sa che è finita, oggi è finita. E se non oggi, domani. Hai voglia a organizzare proteste pacifiche, a farti venire idee, le lezioni in piazza, le fiaccolate, i sit in da figli dei fiori. Hai voglia a rifiutare le strumentalizzazioni politiche, a voler ragionare sulle cose concrete. Da stasera ai telegiornali si parlerà soltanto degli incidenti, giorno dopo giorno passerà l’idea che comunque gli studenti vogliono il casino. È il metodo Cossiga. Ci stanno fottendo.”

via Curzio Maltese su Repubblica

Aggiornamento – 4 Novembre 2008

Io non guardo Chi l’ha visto? per  principio. Tuttavia pare che ci siano voluti loro per mandare in onda le immagini del “Blocco Studentesco” che aggrediscono a cinghiate dei ragazzini che (se tutto va bene) faranno sì e no le medie. Dato che (a meno di non essersi preventivamente foderati gli occhi di prosciutto) oramai la storia  dei “giovani di destra buoni aggrediti senza motivo da quei ragazzacci di sinistra” non sta più in piedi manco per errore Forza Nuova ha deciso di fare irruzione negli studi RAI e minacciare ritorsioni contro chi lavora al programma. A quando la marcia su Roma?

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Sabato mattina ho preso parte al Linux Day di Grosseto, partecipando a una tavola rotonda dal titolo impegnativo: “Diritti e libertà digitali: la costituzione e il progresso tecnologico”.
Sebbene i relatori fossero quasi più numerosi del pubblico presente, io l’ho trovata un’esperienza interessante.
I miei “colleghi” erano quasi tutti docenti e molti di giurisprudenza, le tematiche che loro hanno toccato dal punto di vista pratico io le ho viste passare tutte concretamente su Wikipedia; così mentre loro parlavano io mi sono appuntata i temi principali per esporre qualche “caso”.

Di Giovanna Corrias Lucente (che ha parlato di diffamazione online tramite siti, blog, forum, ecc.) mi hanno colpita diverse cose: la estrema chiarezza nell’esposizione benché i richiami al codice civile ecc. fossero molti e non di immediata comprensione al profano, la spiegazione (ovvia, per carità, ma io non ci avevo mai pensato) sui costi elevati delle indagini online anche quando queste si limitano a dover associare un indirizzo ip (munito di data e ora) con un nome e cognome reali (e finalmente ho capito perché Polizia Postale insiste sempre per sapere da me chi sono gli autori di determinate modifiche) ed infine l’affermazione che poiché non è mai stata disciplinata, Internet è libera (inutile cercare di farla passare per qualcosa che già c’era, come la stampa o altro, è un contesto nuovo e diverso).

Durante Caterina Flick, che ci ha intrattenuti sul diritto all’identità digitale e la privacy, mi sono fatta un appunto mentale su Facebook, per passarle i link ad un editoriale di PI e ad un post di .mau. (passati entrambi, su un sano foglio di carta).

Armando Mammone, che si è volutamente lasciato sfuggire notizie importanti per il selezionatissimo pubblico presente, ha parlato delle tecnologie al servizio della giustizia e chiudendo con “la libertà di internet è una libertà maggiore”.

Poi ha avuto la parola Carlo Sestini, giornalista, che ha parlato dell’illecità della richiesta della Rai di pagare il canone, almeno nei termini in cui viene posta.

Ho apprezzato molto anche l’intervento di Vincenzo Ambriola, che ha parlato dei nativi di Internet, incentrando il taglio dell’intervento sulla sua esperienza di padre di una nativa digitale evidenziando come alcuni comportamenti per lei naturali, per noi immigrati digitali sono invece fonte di domande, dubbi e scoperta.

Prima che il moderatore (Giuseppe Nicosia) mandasse tutti a pranzo, c’è stato tempo anche per la sottoscritta, per dire due doverose parole sulla libertà e citare esempi di misfatti o lasciare domande aperte.
Nella veloce intro ho parlato delle libertà di Wikipedia (consultazione, modifica, ridistribuzione e neutralità, ma non libera di farci quello che voglio!) mentre per i misfatti e le domande ho sfruttato gli oratori precedenti e la mia esperienza:

  • diffamazione: alzi la mano chi ha una voce dedicata su ‘pedia e non è mai stato diffamato per almeno 3 secondi
  • copyright dei testi:
  • gli utenti copiano e incollano da altri siti non gfdl su Wikipedia e che vengono prima o poi beccati tramite il RevertBot (un programmino automatizzato che lancia in pasto a google pezzi di voci di ‘pedia, restituendo siti con contenuto simile che vengono poi verificati dai wikipediani)
  • i giornali copiano e incollano pezzi di voci di ‘pedia senza rispettare la GFDL
  • la territorialità: i server stanno in USA ma gli utenti spesso e volentieri sono italiani. Possono caricare testi di pubblico dominio in Italia ma non in USA? (problema scottantissimo per Wikisource)
  • esiste il (fantomatico) diritto di trascrizione? ossia se io ricopio a mano un testo di pubblico dominio, il sudore della mia fronte mi dà dei diritti?
  • privacy:
  • divulgazione dei dati personali: il caso Zenima (sedicente cantante sanremese che proibiva la pubblicazione del suo vero nome in quanto dato personale da cui si poteva evincere la sua religione e quindi discriminarla) risale al lontano 2005 ed è stato il primo e più eclatante caso
  • se mi connetto a internet con un indirizzo IP fisso, questo può essere considerato un dato personale e quindi sensibile?
  • il laboratorio del garante della privacy tratta di Wikipedia nei suoi corsi e saltuariamente ci scrive
  • il diritto all’oblio è stato sulle pagina di cronaca non troppo tempo fa: Alessandra Canale pretendeva che la sua biografia su Wikipedia fosse epurata dalle informazioni relative alla sua carriera da attrice nei film all’italiana degli anni settanta
  • immagini: la legislazione italiana manca di diritto di panorama e tutela il diritto di riproduzione..
  • per le identità digitali è interessante ricordare il caso Elia Spallanzani, una personaggio inventato di sana pianta in rete, munito di referenze, che è sopravvissuto per scherzi strutturali su ‘pedia per circa un anno
  • censura: nell’intranet cinese (la definizione è di Paolo Ferri) Wikipedia e altri siti sono irraggiungibili, a meno di escamotage tecnici.

Sono senza parole… by

23 Ott
2008

“le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano” – Francesco Cossiga, 23 ottobre 2008 (fonte)

Aggiornamento – 27 Ottobre 2008

Chi glielo dice a KanemuKKha che dà il meglio di se quando NON parla di sesso? Comunque questa andrebbe incorniciata.

Aggionamento 2 – 27 Ottobre 2008

Come fa notare PTWG (e magari anche qualcun altro. Io l’avevo notato ma temo di non avere la sua vena ironica) l’intervista di Cossiga se la son filata solo i bloggher. Nessun telegiornale, nessun radiogiornale, nessun giornale (se si escludono alcuni di destra o estrema destra dove ci si complimenta per le belle parole). Se avessi ancora qualche neurone a disposizione ‘ste cose mi farebbero pensare…

Se all’apertura dell‘Eurotunnel (il tunnel che va dalla Francia all’Ingliterra) aveste preso 1000 euro di azioni, oggi vi rimarrebbero 27 euro.

Se aveste comprato 1000 euro di azioni Vivendi, oggi vi rimarrebbero 70 euro.

Per 1000 euro di azioni France Télécom, vi rimarrebbero 159 euro.

Se l’anno scorso aveste comprato 1000 euro di azioni Alcatel, oggi vi resterebbero 170 euro.

PERÃ’! Se l’anno scorso aveste comprato cassette da 24 birre di Jupiler per 1000 euro vi sareste bevuti tutto e vi rimarrebbero 380 euro di vuoti a rendere… Questo è l’investimento con il più alto rendimento!!!

(via Pierre Barthelemy)

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Sulle occupazioni nelle università si può essere d’accordo o non essere d’accordo. Si può essere in accordo o in disaccordo sia sul merito (i motivi della protesta) che sul metodo (bloccare le lezioni). Pur essendo io un comunista trinariciuto e mangiabambini ammetto che liceali ed universitari che occupano spesso mi sembra che lo facciano più per saltare ore di lezione che per una profonda e sentita volontà di protestare per un motivo specifico (mentre invece ammiro molto quelli che vanno a seguirsi le lezioni in piazza ecc).

Tuttavia indire una conferenza stampa dove si minaccia di mandare i poliziotti a sfollare gli occupanti con la forza (fonti 1 e 2) mi sembra, se tutto va bene, un inutile e puerile tentativo di fare la faccia feroce per dare il contentino ad una fascia di elettori reazionari e violenti. Se invece non va tutto bene si tratta di un preoccupante atto di intimidazione. La cosa è più grave se si pensa che di occupazioni di licei ed università non c’è stata penuria in questi ultimi anni. Allora perché scagliarsi così contro i manifestanti di oggi?

Concludo con un bel virgolettato (tratto dal corriere della sera): “Portate i miei saluti e quelli del ministro Gelmini ai vostri direttori e dite che saremo molto indignati se non sarà pubblicato nulla di questa conferenza stampa“. Si vede che minacciare gli studenti non gli bastava, sentiva anche un certo bisogno di pungolare quel poco che resta della libertà di stampa nostrana (ovviamente domani dirà che è stato frainteso).

Aggiornamento – 23 ottobre 2008

Come volevasi dimostrare:  “Polizia negli atenei? Mai detto. Sono i giornali che, come al solito, travisano la realta” (fonte)

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Frodo si laurea tra meno di un mese, la sua tesi è pronta ed è già online.
Io ho avuto la sfiga ehm, il piacere di leggerla in divenire e ho iniziato a leggere la stesura finale.
Il tema è interessante e ambizioso e tocca diversi ambiti che conosco e altri che mi sono sconosciuti, o meglio, che sperimento come cittadina di questo mondo (la freepress, ad esempio) ma su cui non mi sono mai fatta molte domande né che ho analizzato a fondo.
Cito dall’introduzione:

Perché gratis? Quali sono le motivazioni che spingono un produttore a distribuire il proprio bene gratuitamente? Si tratta di puro e semplice altruismo? Di un’aspettativa di corrispondenza da parte di una comunità allargata basata sull’altruismo? Di amore verso il prossimo? Carità? Volontariato? Mecenatismo? O si tratta di meccanismi di marketing, di tentativi da parte di un produttore o un distributore di aumentare il proprio profitto, migliorare la propria reputazione? Esistono delle ragioni economiche razionali che possono giustificare questo comportamento? Ma è davvero gratis?
“Quanto costa il gratis?” parte da queste domande e cerca di analizzare il gratis in ogni sua forma, cercando di arrivare a definire delle spiegazioni economiche razionali che giustifichino questi comportamenti, cercando di capire i punti deboli e gli spunti interessanti di modelli di business che comprendono uno scambio senza un corrispettivo in denaro.

Rigirare la frittata by

20 Ott
2008

Io sono notoriamente un comunista trinariciuto e mangiabambini; quindi se dico che tutto questo urgente bisogno di cambiare le regole per impedire a qualche malvagio di comprarsi porzioni significative di aziende italiane quotate in borsa non mi pare ci sia si potrebbe anche pensare che sono paranoico o che provo un gusto perverso nell’andare contro a quello che dice il nostro presidente del consiglio.

Quando però la stessa cosa la dicono degli economisti ultra-liberali con posizioni politiche non propriamente “a sinistra” e che insegnano negli USA qualche dubbio che magari tutti i torti non li ho mi viene… (vedi qui e qui).

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Alitalia, crisi finanziaria mondiale, scioperi generali, gente in piazza. Non si può dire che questo sia un periodo tranquillo. Tuttavia, in mezzo a tutte queste grida, preoccupazioni e proteste, l’università fa (per ora) poco rumore. Qualcuno dirà che non è vero: proteste contro la Gelmini ce ne sono state a tonnellate. Verissimo. Però queste erano al 99% proteste legate alla riforma delle scuole elementari o al più riguardavano le scuole medie. Insomma, si protestava per il maestro unico, la riduzione dell’orario scolastico, il grembiule ed il 5 in condotta (sull’opportunità di protestare contro il grembiule avrei delle idee personali ma le terrò per me). Io di scuole elementari e medie me ne intendo poco (a parte averle frequentate non ho mai guardato per bene come funzionassero) e quindi, sull’argomento rimando a questo post (ironico e satirico) del buon Leonardo.

Quello che ora mi preme di più è farvi presente che abbiamo un problema università. Un serio problema. In realtà non è che questa sia una novità: la ricerca italiana (che, in questo paese, si fa quasi esclusivamente nelle università) è pesantemente sottofinanziata da decenni e da ancora più a lungo le università (esistono eccezioni ma sono, appunto, eccezioni) sono in mano a baroni che fanno il bello ed il cattivo tempo. Il risultato è che non solo di soldi per assumere gente che faccia ricerca e dargli gli strumenti per farla ce ne sono pochini, quel che è peggio è che grossa parte di questi fondi viene sistematicamente intascata o dirottata da questo o quel barone che ne approfitta per far diventare suo figlio professore ordinario o la sorella dell’amante primario in un qualche ospedale.

Ora, non è che le colpe si possano addossare tutte a SB. La situazione era già catastrofica prima che lui scendesse in politica e non ha fatto altro che aggravarsi negli anni successivi. Tuttavia possiamo dire che ci ha messo del suo. Intanto nel suo ultimo governo è stato eliminato il ministero dell’università e della ricerca. Di per sè questo potrebbe essere un pregio (ancora rabbrividisco al pensiero del numero di ministeri dell’ultimo governo Prodi) se non fosse che la signora Gelmini ha dichiarato subito che lei di università non si sarebbe occupata; a lei interessavano le elementari. Anche qui nulla di male; un ministro non può occuparsi di tutto ed i sottosegretari con delega a questo ed a quello servono apposta. Il vero problema sorge quando il sottosegretariato con delega alla ricerca viene dato a Pizza, un uomo il cui unico pregio è quello di non aver obbligato SB a rinviare le elezioni per un cavillo sull’ammissibilità del suo simbolo (all’epoca fece molto scalpore ma pare che in molti se lo siano dimenticati). Il premio per non aver sfranto eccessivamente i maroni è stato un sottosegretariato pare… Se però il signor Pizza si fosse dimostrato competente (o almeno interessato) alla ricerca ed all’università uno avrebbe potuto far buon viso a cattivo gioco e tenerselo: il problema è che dall’insediamento del governo ad oggi Pizza è letteralmente sparito. Qualcuno ha sentito parlare di una “riforma Pizza”? O di un dibattito degli organismi universitari con Pizza? Nulla. Il silenzio più assoluto. L’università è stata completamente ignorata.

L’unica volta che l’università è entrata nei pensieri del governo o del parlamento è stato con la legge 133 e l’unica cosa che viene fatto è tagliare il tagliabile e pure il non tagliabile. A parte il destino del mio stipendio (che NON è il punto di questa discussione dato che io potrei andarmene domani all’estero infischiandomene bellamente di quello che succede qui) quello che viene messo in dubbio da questa legge è il futuro stesso dell’università pubblica. Banalmente nell’arco di pochi anni andrà in pensione una larga fetta dei professori ordinari attualmente a ruolo e questi, per via del blocco del turn-over, non potranno essere rimpiazzati. Se non riuscite a vedere dove sia il problema considerate che la stima è di avere una riduzione di circa del 50% del corpo docente universitario (includendo quelli che verranno assunti) a parità di didattica da sostenere e di ricerca da portare avanti. Il risultato netto sarà, prevedibilmente, che non ci saranno più abbastanza docenti per coprire buona parte dei corsi. A questo punto le università potranno chiudere i battenti o affidare la docenza a chi non solo non è professore, ma non è nemmeno ricercatore: i ricercatori precari (cioè noi).

Un ricercatore precario è una persona che ha già finito il suo dottorato di ricerca e che viene assunto con un contratto a termine (di solito un contratto rinnovabile di anno in anno) dall’università per fare ricerca. In quanto precario non ha diritto a malattia, non ha diritto a vedersi rinnovato il contratto, può essere licenziato in qualsiasi istante, non ha diritto a pagarsi i contributi pensionistici (e questo è peggio di un Co.Co.Co.) e gli anni passati a fare il ricercatore precario non contano assolutamente nulla in qualsivoglia concorso. Un ricercatore precario medio ha essenzialmente tre scelte: può abbandonare la ricerca e trovarsi un lavoro diverso, può stringere i denti finché non mette insieme un curriculum dignitoso e poi diventare un cervello in fuga oppure può stare lì finché non arrivi il suo turno sperando di essersi agganciato al barone giusto. Questo perché in Italia i concorsi per diventare ricercatore o professore non vanno in base al merito ma vengono (sistematicamente) decisi a tavolino ben prima che il posto sia bandito. Quindi, più che essere bravi, per diventare ricercatori serve avere la capacità di aspettare pazientemente che il proprio turno arrivi e/o avere la capacità di trovarsi l’aggancio giusto. Forse interesserà sapere che in Italia l’età media in cui si diventa ricercatori oggi è 44 anni (con una crescita di 0,75 anni ogni anno). Insomma, non proprio una bella vita o una bella prospettiva per il futuro. L’unico buon motivo per cui uno può voler andare avanti è (oltre alla cieca disperazione) l’amore e la passione per la ricerca. Insomma, a me va anche bene non essere a posto fisso, va anche bene essere pagato poco, va anche bene non avere alcuna prospettiva di carriera se non oliando il prof dio turno: però almeno mettetemi in condizione di fare ricerca! Invece adesso che i professori vanno in pensione quello che succederà è che, oltre alla ricerca (che è quasi interamente sulle spalle dei ricercatori precari) ci verrà assegnata anche la didattica. Il tutto a titolo gratuito e “volontario” (notare le virgolette).

Comunque sia, anche così, la stragrande maggioranza delle università non riuscirà ad andare avanti (anche complice una gestione da parte di molti rettori che definire criminale è fargli un complimento) e dovrà chiudere i battenti o trasformarsi in una sorta di super-liceo dove le lauree verranno vendute (o regalate a seconda dei casi) per far quadrare i conti. Già nelle classifiche sulla qualità dei nostri studenti siamo piuttosto indietro, adesso si profila il baratro (sulle fondazioni private magari parlo un’altra volta che è un argomento lungo e complesso).

Tuttavia, pur nell’indifferenza più totale, abbiamo iniziato a protestare. Hanno iniziato a protestare gli studenti, i quali (nonostante le occupazioni abbiano sempre più l’aria di una Woodstock improvvisata) hanno ben chiaro che la qualità dell’insegnamento universitario andrà a peggiorare drasticamente. Hanno iniziato a protestare i ricercatori dato che vedono andare a catafascio le loro possibilità di fare ricerca e quindi di produrre innovazione. Abbiamo iniziato a protestare anche noi (i ricercatori precari). Non chiediamo stipendi più alti e nemmeno un posto al calduccio per tutti. Chiediamo che i finanziamenti per la ricerca smettano di essere distribuiti a pioggia ma che vengano distribuiti secondo criteri di produttività. Chiediamo che i posti smettano di essere dati al figlio o all’amante di questo o quello ma vengano dati ai più meritevoli. Chiediamo che, se ci sono pochi soldi, venga fatta una razionalizzazione, non che venga tagliato tutto, il buono col poco buono. Chiediamo, per farla breve, che la ricerca italiana venga valorizzata e non mortificata. Dopo tutto, quando uno glielo chiede, non sono tutti lì a dire che senza sviluppo ed innovazione non si va avanti? E dove credete che venga fatto questo sviluppo? E soprattutto: da chi credete venga prodotta l’innovazione a cui tanto anelate?

A giro per l’Italia di comitati di protesta ne sono nati diversi. Noi a Firenze ci stiamo organizzando e, per la prima volta, stiamo riunendo ricercatori precari provenienti da facoltà ed atenei molto diversi fra loro (scienze, ingegneria, medicina, architettura, scienze politiche ecc ecc). Il nostro primo passo è stata questa petizione.

Aggiornamento (16/10/2008)

Giusto oggi è apparso un editoriale di Nature dove si parla (male) dei tagli alla ricerca fatti da Brunetta. Temo che non sia ad accesso libero ma lo potete trovare qui. Nello stesso numero di Nature (collegato all’editoriale) c’è anche un articolo (all’interno delle News) che ne parla (lo trovate qui).

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