Esino Lario è una ridente località di 798 anime ai piedi della Grigna dove sabato 16 maggio si terrà un evento in occasione di “Fai il pieno di cultura” e, tra le tante cose, si racconterà perché un fondo fotografico decide di rilasciarsi con una licenza Creative Commons e di andare su Wikipedia e Wikimedia Commons.

Perché esserci? Perché, per quel che ne so, sono i primi in Italia a farlo e a provare a raccontarlo!

Più info:
* l’archivio Pietro Pensa
* l’archivio e Wikipedia

..se anche noi non parlassimo della notizia del momento, che impazza su tutti i blog, che ieri prendeva la prima parte alta del Corriere e la seconda e la terza pagina? Ecco.

(..ora basta pippe e torniamo alle cose serie, grazie!)

Si parla molto dei referendum del 21 giugno. La maggior parte dei politici ha già dichiarato il “si” ai tre quesiti; altri, ovviamente, il “no”. Tra i tanti, la Lega. Per ora è pacifico che la mobilitazione popolare riguarderà la pronuncia sulle modifiche alla legge elettorale. Perfetto. Ma cosa cambierà? Fermiamoci un attimo: quanti in realtà conoscono la risposta?

A prescindere che questo referendum costituisce una deroga (nonché un pericoloso precedente in ottica futura), in quanto la legge prevede che la proposizione di domande di tal genere venga posta tra il 15 aprile e il 15 giugno (art. 34 della L. 352/70), una sparuta minoranza andrà a leggere i caratteri minimi che precedono il “SI” e il “NO” presenti sulla scheda e che, comunque, scendono molto in dettagli incomprensibili ai più.

Fornisco – per la cronaca – un estratto della prima domanda, per “chiarire”: Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, titolato “Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei Deputati”, limitatamente alle seguenti parti:
art. 14-bis, comma 1: “I partiti o i gruppi politici organizzati possono effettuare il collegamento in una coalizione delle liste da essi rispettivamente presentate. Le dichiarazioni di collegamento debbono essere reciproche.” […]
.

L’italiano medio potrebbe non sapere cosa sia un D.P.R., cosa siano modificazioni ed integrazioni; come sia strutturata una qualsiasi legge, insomma. Deducibile (e chiaro) che si tratta di abrogazioni: quindi SI = eliminazione di parte della legge; NO = mantenimento del testo così come è.

Per quanto riguarda i quesiti nella loro integrità, i primi due (schede verde e bianca) si basano sul premio di maggioranza alla lista più votata e innalzamento della soglia di sbarramento. Per chiarire la situazione, allo stato, la coalizione che prende più voti alla Camera ha un numero di onorevoli di “bonus” rispetto alle altre; stessa cosa avviene in Senato, ma su base proporzionale regionale. Non solo, ora una coalizione può avere propri rappresentanti in Parlamento se supera il 4% dei consensi sui voti in ambito nazionale: in pratica, se un partito X della “coalizione X” prende l’1%, può aver diritto di schierare onorevoli e senatori; se un partito Y, invece, corre da solo e ha l’1% dei voti, non potrà entrare nelle Camere.

Se fosse abrogata parte della legge, vi sarà un nuovo scenario: solo il partito che prenderà più voti usufruirà del premio di maggioranza e tutti i partiti, tralasciando quindi le coalizioni, saranno soggetti alla soglia di sbarramento al 4%. In Senato, invece, il limite passerà all’8%.

Il terzo quesito (scheda rossa), in caso affermativo, cancellerebbe le “candidature multiple”: ora un politico può schierarsi in tutti i territori nazionali, decidendo il “destino” per gli altri membri della sua lista. Se passasse il “SI”, al contrario, i vari Berlusconi, Franceschini o Casini saranno presenti solo in una tra Lombardia, Puglia, Basilicata (ad esempio)

Quorum permettendo. Se la “metà” degli aventi diritto non vota, la disciplina ora vigente, logicamente, rimane.

Considerando che non è facile riassumere la materia ai minimi termini, si spera che essa sia un tantino più comprensibile… Strano: politici, giornali e diretti interessati non ne parlano troppo spesso.

Ci sono cose così basilari (basilari per chi le sa, ovviamente) che nessuno si prende mai la briga di ribadirle o di spiegarle. Capita così che giornali e telegiornali sparino ogni giorno notizie sugli andamenti economici (PIL su dello 0,5%, Mibtel giù del 4% ecc ecc) senza che nessuno si curi di verificare che i destinatari di queste informazioni sappiano come interpretarle correttamente. Ecco, a me qualche dubbio è venuto e quindi provo a rispiegare in modo semplice una cosa che (troopo spesso) si da per scontata: gli incrementi (o decrementi) percentuali.

Lasciamo perdere i numeri reali e prendiamo un caso semplice: ieri il nostro indice in borsa era 100 ma oggi abbiamo perso il 50%, il nostro indice in borsa oggi quindi è 50. Se oggi recuperiamo il 50% il nostro indice domani sarà 75, ovvero un buon 25% sotto il valore di ieri. Questo potrà sembrare banale a molti ma il punto fondamentale è che le variazioni percentuali non si sommano! Se quindi abbiamo una stima del ministero del tesoro (non propriamente pubbliciazzata) che ci dice che il PIL calerà del 4,2% nel 2009 ma che crescerà dello 0,3% nel 2010 il risultato netto NON sarà una perdita del 3,9% perché quel guadagno di 0,3 punti percentuali si calcola sul PIL di oggi già decurtato del 4,2%. E quindi? A quanto ammonterà la perdita di PIL complessiva se prima perdiamo il 4,2 e poi guadagniamo lo 0,3? Qui sta il bello, se non sappiamo qual è il valore assoluto del PIL non lo possiamo calcolare in alcun modo. E, guardacaso, nessuno ce lo dà questo valore assoluto. Certo, da qualche parte questo dato è disponibile e non metto in dubbio che chiunque abbia una qualche infarinatura di economia possa trovarlo in breve tempo. Resta però il fatto che questa informazione (che sarebbe fondamentale per capire di cosa stiamo parlando) non viene mai data e quindi nessuno di noi può farsi un’idea semplice di quanto stiamo perdendo.

E allora perché giornalisti ed economisti si ostinano a darci le variazioni percentuali invece che quelle assolute? Non è cattiveria e nemmeno un complotto di menti malvagie, banalmente le variazioni percentuali sono utilissime se si parla di piccoli scarti. Se un indice economico va su o giù dello zero virgola qualcosa il suo valore assoluto non è cambiato molto e quindi una percentuale ci permette di trattare le informazioni in modo più intuitivo e compatto. Se però le fluttuazioni inziano ad essere importanti le percentuali raccontano solo metà della storia, e nemmeno la più importante.

Fili conduttori by

1 Mag
2009

Ennesimo capitolo della saga “candida una velina al Parlamento Europeo”. Per chiarire qualche dubbio, in realtà non ci sarebbe nulla di male nel vedere ragazze interessate alla politica, anzi. Però non sempre è “meglio abbondare”. Specie quando si è consci sia che potrebbero arrivare, in piena campagna elettorale, critiche da sinistra, destra, centro, ma anche sopra, sotto, dietro e avanti, sia che è impossibile mantenere tutte le promesse. Un padre di una delle ragazze era talmente deluso (…) da volersi dare fuoco. Dopotutto, la figliola sarebbe tornata a lavorare, forse.

A proposito, oggi è la festa dei lavoratori. Festa voluta dai sindacati per le battaglie che hanno portato al riconoscimento dei diritti di tutti quelli che offrono una prestazione. Non per altro, in ogni Costituzione che si rispetti il “Lavoro” è ai primi posti nella scala dei princìpi. Qualcuno non se lo ricordava e alcune volte “c’è scappato il morto“. Logico dire che la festa vale per tutti; ho sentito dire “è una manifestazione degna dei comunisti”, in senso spregiativo. Da un impiegato che, per coerenza, oggi ha invitato a pranzo l’intera famiglia e si è svegliato alle 11.

Da 18 anni a questa parte, CGIL, CISL e UIL organizzano il Concerto del 1° maggio a Roma. Quest’anno c’è stato il grosso rischio che l’evento saltasse a causa della mancanza di fondi. Ma, per la fortuna di migliaia di persone (piazza San Giovanni è a dir poco gremita), i soldi sono arrivati, tra gli altri, dalle Poste Italiane ma, soprattutto, dal GRUPPO UNIPOL, già Banca delle cosiddette Cooperative Rosse, che tenta di rifarsi un nome dopo le vicende di Bancopoli.

È classico vedere le bandiere di Rifondazione Comunista e gli stendardi di Che Guevara sventolare. Ma, a prescindere dall’organizzazione, essendo questa una festività statale, non si dovrebbe andare al di là di ogni schieramento? Il concertone, che durerà circa 9 ore, è uno show prettamente musicale. Come al solito, la star – quest’anno Vasco Rossi – è collocata negli ultimi posti della scaletta: nell’attesa del medley del Blasco (molti sono lì per lui…), quanti arriveranno lucidi a seguirne la performance, cercando di scansare vomiti, monnezze varie e gente collassata? La libertà non è anarchia, ma il buon senso in queste occasioni va a farsi fottere, parafrasando “Stupido hotel”.

Stesso buon senso che passa anche nel mondo sportivo. Dopo la chiusura al pubblico dell’Olimpico di Torino per i cori razzisti a Balotelli, la Juventus ha presentato ricorso d’urgenza all’Alta Corte di Giustizia Sportiva, ottenendo la sospensione della sanzione fino al 15 maggio, data in cui l’organismo deciderà pienamente sul caso. Questo garantirà la visione dal vivo della partita contro il Lecce di domenica. Alla faccia delle campagne UEFA e FIFA against racism e al “segnale forte” per mostrare il rispetto nel corso degli eventi sportivi!

Ma lo sport, vero vincolo di rispetto e lealtà (e di “segnali forti”), ha un altro caso recente. In Formula 1, nel Gran Premio d’apertura stagionale a Melbourne, il campione del mondo Lewis Hamilton è stato sorpassato in regime di safety car da Jarno Trulli (mossa non permessa dal regolamento). Per il pilota italiano, penalizzazione di 25″ alla fine della gara e 13° posto (era 3°). Ma, dai dialoghi radio, risultò che la strategia era stata volutamente organizzata dalla McLaren (team di Hamilton) al fine di salire sul podio australiano. Conseguenti la squalifica dell’inglese dalla classifica finale del GP e riabilitazione di Trulli. La McLaren silura così l’ideatore dell’operazione truffaldina, ma il provvedimento non le eviterà il processo della Federazione Internazionale dell’Automobilismo. L’altro ieri la “condanna” (si fa per dire): in parole povere, “se lo fai di nuovo nel giro di un anno, ti squalifichiamo per 3 corse. Eh, bricconcello, mi raccomando!” La F1, a 15 anni esatti dalla morte di Senna, si decide fuori dalle strisce d’asfalto dei circuiti.

Lunga è la strada e tanta l’acqua che passerà da sotto i ponti. Sperando che non crollino.

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Ragazza in gamba by

30 Apr
2009

Per un ministero che (probabilmente) scompare, ossia quello di Gianfranco Rotondi, detentore dell’“attuazione del programma di Governo”, un altro (probabilmente) nasce. Infatti, è pronta l’istituzione del dicastero competente sul Turismo.

Non capita spesso vedere la costituzione di una nuova entità dopo un anno dalla formazione dell’Esecutivo. Circostanza particolare. Comunque sia, alla scrivania del nuovo ministero siederà uno dei sottosegretari alla Presidenza del Consiglio. Che, guarda caso, dispone già della “delega al Turismo”. Per chi non l’avesse capito, il futuro Ministro altri non è che Michela Vittoria Brambilla. Potenziale quinta donna del “Berlusconi IV”.

Come prassi vuole, è doveroso ripercorrere le tappe che hanno portato la Brambilla al CdM.

Animalista convinta, laureata in lettere e filosofia, madre non sposata ed erede di una famiglia di industriali dell’acciaio, è stata presidentessa dei Giovani Imprenditori della Confcommercio fino alla discesa in campo a fianco di Berlusconi nel 2006. Si mette in evidenza in ambito politico rivolgendosi ai giovani e fondando i “Circoli della Libertà” con la relativa emittente satellitare. Inoltre, ebbe il merito di depositare il simbolo del PdL.

In seguito alle vincenti elezioni anticipate del 2008 per il centro-destra, alcuni giornali indicarono la rossa Michela, nominata deputato in Emilia Romagna (regione a cui è legata; la madre è originaria di Cesenatico), come papabile ministro. Tuttavia ebbe in offerta “solo” la poltrona da sottosegretario. Per questo motivo, Striscia la Notizia non tardò a consegnarle il Tapiro d’oro.

Sciaguratamente, la Brambilla è stata notata, soprattutto dall’ (ehm) elettorato maschile, per la mostra dell’autoreggente nel salotto buono di Raiuno; meno per i meriti politici. Non una novità: come dichiarò quasi 5 anni fa a Sabelli Fioretti è stata modella per una nota azienda di intimo e negli anni ’80 partecipò a Miss Italia con la fascia di Miss Romagna: niente male per una che è nata nei pressi di Lecco con quel cognome. In quel di Salsomaggiore conobbe Giorgio Medail e, nel 1991, mise su la trasmissione “I misteri della notte” su Canale 5. Divenne così l’antesignana dell’odierna “Diavolita“, in pratica. Gli amanti dei dettagli potranno notare che il colore dei capelli era lo stesso di Melita.

Ciò dimostra che anche Michela Vittoria Brambilla potrebbe far parte della categoria “veline” tanto stigmatizzata da parte del PdL che la accoglie e dalla Signora Berlusconi nei giorni scorsi. Qualcuno si è dimenticato che, prima delle misconosciute Barbara Matera e Angela Sozio (per citarne due), anche Mara Carfagna (Ministro delle Pari Opportunità) era reduce da una parentesi che partiva da Miss Italia e finiva a “Piazza Grande” da Magalli, con calendari nel mezzo.

Le voci sulla “promozione” della Brambilla erano note già da gennaio e verosimilmente affiancherà nelle riunioni governative la sua ex collega nel mondo dello spettacolo. Con ulteriore consumo di risorse economiche per la gestione del nuovo dicastero.

Cavolo, sono bastati il terremoto in Abruzzo, la cosiddetta “febbre suina”, Grandi Fratelli e X Factor vari per far dimenticare che una crisi economica è in atto?

Giustamente, gambe in mostra e labbra carnose sono garanzia di ottimismo.

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Mentre, da novembre, stiamo ancora aspettando un decreto attuativo per le “disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca” (senza il quale, vi ricordo, le suddette disposizioni urgenti non possono essere applicate in alcun modo) inizia a girare in rete una bozza del DDL sull’organizzazione del sistema universitario, sul reclutamento, sugli avanzamenti di carriera di professori e ricercatori ecc. (la trovate, ad esempio, qui).

Premetto che, non essendo un giurista, la lettura di una bozza di DDL mi risulta piuttosto ostica. Tuttavia si tratta di sole 17 paginette e quindi un po’ di considerazioni si possono fare senza una laurea in giurisprudenza.

Il Titolo 1 del DDL non mi sembra contenere nulla di realmente interessante se non un invito a chiudere tutti quei dipartimenti con meno di 30 strutturati.

Il Titolo 2 invece è più succoso e quindi è meglio analizzarne i punti più interessanti:

  • L’articolo 4 istituisce una “abilitazione scientifica nazionale”, ovvero una sorta di “lista” di nomi di persone che hanno passato un esame e che quindi possono essere chiamati a coprire i posti da ricercatore o professore in una qualche università. Francamente però non vedo alcuna significativa differenza col sistema attuale. Per chi non lo sapesse anche oggi vincere un concorso da ricercatore/professore NON vuol dire affattodiventare ricercatore/professore. Banalmente si entra in una lista e si aspetta che una qualche università chiami te invece che un altro nella stessa lista.
  • Lo stesso articolo 4 stabilisce che la commissione esaminatrice (8 membri +1) sia sorteggiata da un gruppo di 24 professori. Questo semberebbe essere un passo in avanti; oggi i membri delle commissioni vengono tutti eletti e quindi il rischio di pastette ed accordi sotto banco è elevatissimo. Dovendone eleggere 24 sapendo che gli 8 che andranno a far parte della commissione verranno sorteggiati a caso dovrebbe rendere più difficile (non impossibile, solo un filo più complesso) per i vari baroni mettersi d’accordo.
  • L’articolo 5 prevede che possano partecipare ai concorsi per ricercatore a tempo indeterminato solo coloro che abbiano conseguito un dottorato da non oltre 5 anni. Se l’obbligo di avere un dottorato per fare il ricercatore è un’ottima notizia (almeno si eviteranno casi surreali come figli di professori che diventano ricercatori pochi giorni dopo la laurea) il limite dei 5 anni lascia un po’ più perplessi. In un mondo ideale questo limite avrebbe senso: se in 5 anni di post-doc non sei riuscito a mettere insieme una produzione scientifica degna di un posto da ricercatore allora magari è bene che tu ti trovi un altro lavoro. Nel sistema Italia però il vero problema è che i concorsi sono praticamente sempre bloccati e/o già assegnati al raccomandato di turno. Quindi, fra quelli che non sono scappati all’estero, c’è un’ampia classe di gente brava che però è rimasta invischiata negli ingranaggi per ben più di 5 anni. Impedirgli di fare i concorsi vorrebbe dire tagliar fuori un’intera generazione e, francamente, una soluzione di questo tipo la vedo di difficile applicazione. È più probabile che il limite dei 5 anni verrà applicato solo a chi il dottorato non lo ha ancora finito al momento dell’entrata in vigore. Chi sta facendo, o si appresta a fare, un dottorato in Italia si consideri avvisato…
  • Sempre l’articolo 5 prevede che la prima posizione di contratto a tempo indeterminato (o di ruolo a tempo determinato, ovvero di ricercatore/professore non confermato) debba avvenire, per almeno 3 anni, in una università diversa da quella dove si è conseguito il dottorato. Questa è una norma che punta a prevenire la formazione di “dinastie” all’interno di una data università ed a spingere verso la mobilità. So che in Olanda è in vigore una norma simile e in molti paesi è abbastanza comune invitare la gente a cambiare sede. Questo avrebbe il vantaggio collaterale di esporre i novelli scienziati (o giuristi, o letterati, o quel che è) ad ambienti e stimoli diversi, rendendoli così dei ricercatori migliori. Personalmente resto un po’ dubbioso sull’obbligare per legge la gente a cambiare università; mi suona macchinoso, burocratico e facilmente manipolabile.
  • L’ultimo punto dell’articolo 5 prevede che le università private possano fare un po’ quello che gli pare riguardo il reclutamento di ricercatori e professori. In un regime di libera concorrenza fra le università questo andrebbe anche bene, il problema è che le cosiddette “università private” vengono lautamente finanziate dallo stato. Si avrà quindi una situazione dove i privati prenderanno soldi pubblici per spenderli come gli pare (e senza alcun controllo). Nulla di nuovo sotto il sole (qualcuno troverà notevoli somiglianze con le scuole private e con la gestione dei prof di religione) ma fa un po’ tristezza vederlo ribadito senza pudore in una legge.
  • L’articolo 11 (e qui siamo già al Titolo 4) stabilisce che professori e ricercatori debbano essere valutati ogni 2 anni sulla loro attività didattica e scientifica. Uno potrebbe anche pensare “finalmente!” ma, leggendo l’articolo, l’euforia svanisce presto. Infatti professori e ricercatori sono tenuti a presentare un’autocertificazione dell’attività svolta che verrà valutata dalle singole università ciascuna secondo modalità decise in proprio. Nel caso che qualcuno presenti un’autocertificazione così indecente da essere bocciata o che non la presenti proprio l’unica vera sanzione è il fatto che, per quel biennio, la persone in questione non riceverà gli scatti di anzianità. Per carità, avere uno scatto di anzianità fa comodo a tutti ma non è esattamente una punizione severa (soprattutto per i baroni universitari che di scatti di anzianità tipicamente ne hanno già avuti più che a sufficienza). Se ci aggiungete che a valutare sono gli stessi che vi hanno assunto quante saranno le probabilità che il figlio di papà di turno (messo lì tramite concorso truccato) venga bocciato dagli stessi che gli hanno dato la posizione che occupa?

Ma il punto veramente tragico di questa bozza non è tanto in quello che c’è, ma in quello che NON c’è. Infatti tutti gli articoli, buoni o cattivi che siano, si limitano a dare una verniciata alla superficie senza mai intaccare il cuore del problema: la meritocrazia e la responsabilità. Finché stipendi e fondi non saranno in alcun modo legati ai risultati nessuno avrà il benché minimo incentivo ad assumere gente brava invece che gente raccomandata e quindi non si farà mai vera selezione. Con queste leggi a chi conviene cacciar fuori a pedate il raccomandato di turno? Tanto poi, che questo produca risultati eclatanti o non combini nulla di buono, non cambierà nulla. Gli stipendi dei rettori e dei direttori dei dipartimenti non cambieranno di una virgola così come non cambieranno i finanziamenti dati alla ricerca a questo o a quel gruppo. Finché i singoli dipartimenti (non le intere università) non verranno valutati in maniera oggettiva per i risultati prodotti chi avrà vantaggio ad assumere un giovane e bravo ricercatore invece di quello il cui unico merito è aver fatto da assistente per anni al prof di turno (per quanto sopportare di fare l’assistente ad un barone non sia cosa da poco)?

Perché ci si ostina a derespoinsabilizzare tutti? Perché nessuno deve mai pagare per i propri errori? Perché non si adotta un sistema in stile anglosassone (o scandinavo) dove i posti vengono assegnati per chiamata diretta ma poi se chiami un carciofo ci sono ripercussioni negative sia sul tuo gruppo di ricerca che sul tuo dipartimento e, a cascata, sulla tua università? Insomma, in conclusione, perché non si introduce finalmente quella meritocrazia di cui tuti si riemipiono la bocca durante comizi e conferenze stampa?

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Oltre- by

29 Apr
2009

Mia cuggina quest’estate torna (c’è già stata l’anno scorso) in America per un altro mese per fare una full immersion d’inglese. Quest’anno invece di salassarsi e basta, sta cercando un lavoro là. Poiché ha due diplomi come maestra (fioretto, sciabola e spada, se ben ricordo) e sono più di dieci anni che insegna in varie palestre, sta mandando mail a tutte le palestre che trova in rete, chiedendo se sono interessati.
Ieri sera mi telefonava preoccupata dei possibili strafalcioni nelle mail e trasmettendomi l’ansia della (mancata?) risposta. Stamattina ha già tre risposte: una chiede il cv, l’altra si scusa perché non riesce a rispondere subito perché sono in trasferta per una gara in un altro stato ma promette di rispondere a breve e il terzo, una palestra universitaria, si dice spiacente di non avere fondi per assumerla e le consiglia due palestre nei dintorni a cui rivolgersi (fornendo link, indirizzo email e alcune altre info).

Mi viene spontaneo chiedermi cosa succederebbe al contrario, se un americano cercasse un lavoretto estivo in Italia.. e mi torna in mente quel che annotava (sulla sua pelle!) qualche giorno fa G.

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Bianco-neri by

28 Apr
2009

Agenzia di qualche ora fa. La Corte di Giustizia Federale ha respinto il ricorso della Juventus avanzato dopo il dispositivo che chiudeva l’Olimpico di Torino per una settimana a causa degli insulti razzisti a Balotelli.

Nei giorni scorsi si è letto di tutto. Per chi non lo sapesse, il 18enne attaccante dell’Inter, autore di un gol durante la sfida con i bianconeri, era stato fischiato e aggredito pesantemente con esclamazioni razziste dalla curva avversaria. Nessuno, tra dirigenti e spettatori, ha fatto alcunché per opporsi alla ingloriosa manifestazione.

Colpito maggiormente dalle critiche di opinionisti, mondo sportivo e non, è stato il gruppo ultras dei Drughi. Per mezzo del loro sito, espongono un comunicato stampa sulla vicenda. I portavoce illustrano che ad ogni partita anche loro prendono sberleffi su persone defunte (dai morti dell’Heysel ai due ragazzi deceduti a Vinovo, passando per Fortunato e Scirea), ma nessuno ne parla, e denunciano una condotta complessivamente scorretta da “Sig. Baruwah” (il cognome originario di Mario Balotelli) nei loro riguardi e nel corso del match.

Giustificandosi nel complesso nell’aver attaccato solo “Supermario” e non altri giocatori di colore, quali Vieira e Muntari, sostengono nella nota: E’ chiaro che per deconcentrare una persona psicologicamente debole, si cerca di colpirla dove soffre di più, in questo caso, per il signor Barwuah il colore della pelle unita alle sue origini, inteso come concepimento da parte di due genitori ghanesi, e non italiani, era un modo, da parte di tutto lo stadio, per tentare di innervosirlo e renderlo innocuo. Teniamo a ricordare che nelle nostre fila milita un certo Momo Sissoko, campione d’ebano che teniamo nel cuore e siamo orgogliosi che indossi la nostra Maglia. Questo per far capire che il razzismo non c’entra ma si è trattato solo di un modo, magari discutibile, di deconcentrare un avversario pericoloso.

Da juventino, deduco che da oggi, secondo i tifosi più accesi della mia squadra, il razzismo diventa ad personam. “Il colore della pelle unita alle sue origini”. Non ero al corrente che Sissoko avesse fatto un bagno nella candeggina, richiedendo immediatamente il passaporto italiano e chiedendo di cambiare definitivamente il cognome in “Rossi” per non essere innervosito. E poi, la circostanza per la quale il ragazzo sia nato da genitori ghanesi dev’essere paragonata a qualcosa che faccia per forza ribrezzo, come uno schifidol?

Alla negazione di qualsivoglia scusa ([…] 25mila che cantavano […]: tutti razzisti o semplici tifosi arrabbiati?), le dosi vengono addirittura rincarate: Oggi sappiamo che il signor Barwuah ha problemi psicologici: si curi, o se ne faccia una ragione. Il mondo è pieno di gente con le orecchie a sventola ed il naso grosso ma lavora lo stesso e risponde sul campo alle prese in giro. Non è comunque giustificabile il comportamento. Di fatto Balotelli è stato offeso per una particolarità che è stata oggetto di controversie storiche, che hanno scatenato guerre e particolari situazioni in alcuni Paesi. Non semplicemente per un aspetto personale, unico nel suo genere (che sia una voglia alla Gorbaciov o il naso aquilino alla Dante, per dire).

Di questa storia, rimangono le immagini video e i sonori. Se “figlio di puttana” e “se saltelli, muore Balotelli” non possono essere insulti razzisti (e non lo sono: quante volte si sentono i “devi morire!” di sfottò quando un giocatore è a terra, negli stadi?), “negro di merda” lo è, eccome. Sia esso tuonato durante Juve-Cagliari (sfuggito ai più), che urlato e accompagnato dai “buuuh” durante l’incontro diretto con l’attuale capolista.

Ennesimo e fulgido esempio che la storia viene ignorata. E il motto “non fare ad altri ciò che non vuoi sia fatto a te” è sconosciuto a molti.

P.s. Su alcuni argomenti trattati nei giorni scorsi, ho anticipato Travaglio e Grillo. Ma ho scritto (e detto) meno rispetto a loro; forse non è poi così male.

O bella ciao by

26 Apr
2009

Per chi se ne fosse dimenticato (o non voglia ricordare), ieri è stata la Festa della Liberazione (oltre ad essere San Marco). Una tappa fondamentale per la Storia italiana. Chi pensa che sia un giorno da non festeggiare, inneggiando all’urlo di “L’Italia agli Italiani”, ad esempio, darebbe fiato alla bocca dimostrando una qualche lacuna, per sua sfortuna. Quella data ha aperto agli scenari futuri, con la formazione della Repubblica prima e della Costituzione poi.

Oppure, se ci si dovesse sentire nostalgici, qualcuno potrebbe vantarsi di essere neonazista, aggredendo potenzialmente gente che ha la “colpa” di avere un’altra etnia. Assistendo, magari, a messe dove si prega per il bene e la pace.

In aggiunta, ho letto e sentito altre situazioni. Qualcuno, di estrazione politica di destra, ha scritto: i partigiani comunisti spuntarono come funghi, dopo che gli alleati avevano ridotto ai minimi termini i tedeschi. Le porcherie che hanno combinato coloro che volevano sostituire al regime mussoliniano quello dell’URSS, sono inenarrabili. Fino a quando non farete un serio esame di coscienza, non avete alcun titolo a ergervi a paladini della democrazia, dato che dove avete governato avete seminato lutti e miseria. Vergognatevi!

Così si rivolgeva ad un altro politico locale, di radice ovviamente opposta (PD), in una “lettera aperta” (chiamiamola in questo modo). Si tratta della stessa persona che, in preda alla contentezza per la vittoria di Berlusconi & C., dichiarò l’anno scorso in un commento similare di come il “25 aprile fosse il nuovo giorno di liberazione dai comunisti”. Considerando che “per sua esperienza, anche in altri campi” (come ebbe ancora occasione di scrivere in altra sede) conosce le pocherie inenarrabili dell’URSS (innegabili), ha ritenuto opportuno fare di tutta un’erba un fascio, comparando comunisti russi ai partigiani prima (sono due categorie distinte e non devono essere tirati in ballo solo per alcune circostanze) e ai filodemocraticiqualcosa italiani attuali poi. La solita accoppiata vincente pasta e nutella; in un’unica parola, revisionismo. Si deduce che, secondo questo individuo, il 25 aprile sia “una festa comunista per i comunisti” che, evidentemente, in Italia hanno seminato lutti e miseria (???). Parole, tra l’altro, già sentite altrove. Ma non era una festa nazionale?

Si, c’è da vergognarsi, c’è da chinare il capo, senz’altro. Tornando al punto, vedendo il reliquiario di Mussolini nella locale sede delle ceneri di AN (quando tale partito aveva già rinnegato il fascismo) ad opera anche del soggetto di cui sopra, mi chiedo se questi voglia ammettere la “confusione” di italiani con tedeschi negli anni ’40 o la diffusione di cartelli “vietato agli ebrei”. Per la serie “l’Italia agli italiani”. Forse l’Italia di Salò, finita a Dongo, o Giulino di Mezzegra, con la cattura del Duce (e la sua esecuzione poi), insomma? Dipendente diretto del Terzo Reich, una dittatura (per quel poco che ne so). La Storia lo dice, non qualche “comunista vergognoso” o nostalgico.

La realtà, nell’Italia di oggi, però, lascia via libera al revisionismo unito al negazionismo. Mi è bastato sentire interviste del Tg1 a gente comune. Una buona percentuale non sapeva cosa si festeggiasse: si è detto dalla Festa del Lavoro all’ “importanza di non andare a scuola”, accompagnata dalla grassa risata. Facile inculcare a cittadini lassisti o volontariamente disinformati, che non hanno voglia di sentirsi raccontare discorsoni di storia così noiosi e prolissi, concetti inesatti.

Ed è inutile strapparsi i capelli nel sentire o analizzare certe affermazioni. Peccato, davvero.

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