Malascienza by

19 Giu
2009

Ipotizziamo che abbiate fatto una qualche scoperta scientifica (avete scoperto Atlantide, una forma di energia pulita ed inesauribile, la quadratura del cerchio o cose così). Una volta che siete sicuri di quello che dite il primo passo da fare per ottenere il riconoscimento che vi spetta è descrivere per filo e per segno quello che avete scoperto in un inglese accettabile. Se non conoscete l’inglese scrivete in italiano e fatevelo tradurre da un amico. Poi prendete una rivista scientifica di un settore ragionevolmente vicino a quello della vostra scoperta (se ce ne sono troppe e non sapete decidervi tipicamente puntate a quella con l’impact factor più alto) e mandategliela. L’editor della rivista si leggerà il vostro articolo e, se lo considererà interessante e vicino al tema della rivista stessa, lo invierà a due o tre specialisti del settore che verificheranno la correttezza di quello che dite. Se questi specialisti (in gergo noti come “referee”) daranno il loro assenso la vostra scoperta verrà pubblicata e tutti saranno contenti.

Un procedimento così complesso è dovuto alla necessità di dare autorevolezza ai lavori scientifici. Se qualcosa viene pubblicato magari non è perfetto, magari arriva a conclusioni azzardate, però, essendo dovuto passare dalle forche caudine del peer review si suppone che sia comunque un lavoro ben fatto e degno di attenzione e rispetto. Al contrario gli scienziati di solito diffidano di risultati o scoperte che non hanno mai dovuto passare per le mani di un referee; le probabilità che una ricerca presentata unicamente in una monografia (magari pubblicata a spese dell’autore) o su un sito internet sia farlocca sono troppo alte.

Tuttavia, come purtroppo capita spesso, c’è un MA grosso come una casa. Quello che può succedere (e che talvolta succede) è che qualcuno sfrutti questo sistema per dare “autorità scientifica” a lavori che invece non ne avrebbero alcuna. Prendiamo l’esempio di una multinazionale i cui prodotti suscitino dubbi nel pubblico (ad esempio perché c’è il rischio che facciano male alla salute); correttezza vorrebbe che i test e le analisi venissero condotti da ricercatori seri ed indipendenti (nel senso di non stipendiati dalla multinazionale stessa) e che i risultati, positivi o negativi che siano, venissero sottoposti ad un processo di peer review e poi pubblicati su riviste di settore. Se però la correttezza non è di casa la multinazionale potrebbe decidere di dare risalto ai risultati a lei favorevoli e sotterrare quelli contrari. Come? Ad esempio pagando una casa editrice per creare una rivista dall’apparenza scientifica, che abbia l’aspetto di un giornale dove si pubblicano risultati che sono passati attraverso tutto il processo di peer review ma che, nei fatti non lo sia. In questo modo la multinazionale potrà sbandierare ai quattro ventigli “importanti risultati pubblicati su riviste scientifiche di rilievo internazionale” a suo favore anche quando questi risultati non ci sono mai stati o quando questi siano solo una netta minoranza.

Impossibile? Impensabile? Dopo tutto perché un gioco del genere funzioni ci vuole una casa editrice con una lunga storia nella pubblicazione di riviste scientifiche. E chi butterebbe mai via la propria reputazione per una cosa del genere? Eppure pare che la Merck (multinazionale chimico-farmaceutica) abbia pagato la Elsevier (maggior editore mondiale in ambito medico e scientifico) per pubblicare una rivista apparentemente identica alle altre ma completamente priva di una qualsiasi forma di revisione scientifica da riempire con ricerche a lei favorevoli in modo da ottenerne un ritorno di immagine. Difficile credere che si sia potuto trattare di un errore in buona fede o di un fraintendimento dato che, poco dopo, è venuto fuori che le riviste farlocche create a favore di questa o quella industria medico-farmaceutica erano almeno 6! Incidentalmente recentemente mi è stato fatto notare che la Elsevier, oltre ad essere nota per il gran numero di riviste di basso livello pubblicate e per avere uno dei siti web più inutilizzabili mai visti, ha anche un costo medio per le nostre biblioteche universitarie circa 3 volte maggiore di quello di altre prestigiose case editrici in ambito scientifico.

In altri casi il problema non è (forse) tanto la malafede quanto una certa pigrizia ed incompetenza di chi sarebbe preposto ai controlli. Infatti è recente la notizia di uno studente di Scienze della Comunicazione che, come test, ha inviato alla rivista di libero accesso (ovvero dove non si paga per accedere on-line agli articoli pubblicati) The Open Information Science Journal un articolo composto di frasi prive di senso logico. Se ci fosse stato una qualsiasi forma di controllo da parte dell’editor o da parte di uno o più referee l’articolo sarebbe stato rispedito al mittente in pochi minuti. Invece è stato accettato per la pubblicazione! (fonte) Quando la cosa è venuta fuori l’editor è stato costretto a dimettersi ma questa è una prova che cose di questo generenon solo possono capitare, ma capitano. E non solo ad oscure riviste di settore, il caso di Nature e della memoria dell’acqua (dove uno studio, passato senza alcun tipo di controllo e successivamente rivelatosi del tutto sbagliato, sembrava dimostrare uno degli assunti di base dell’Omeopatia) è celebre e sta lì a ricordarci che non ci dovremmo mai fidare acriticamente delle nostre fonti nè, tantomeno, di chi ci sventola sotto il naso prove che prove non sono.

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Giovedì sera alla dogana di Chiasso sono stati fermati due giapponesi che viaggiavano in treno.

La Finanza gli ha trovato in valigia una serie di bond del governo statunitense: 249 titoli da 500 milioni di dollari l’uno, e 10 da 1 miliardo.

Qualche considerazione.
* 134 miliardi di dollari sono, a spanne, il PIL della Nuova Zelanda
* La notizia è stata ripresa da diverse agenzie straniere, da adnkronos in Italia… e praticamente da nessuna testata
* L’unico ad aver riportato la notizia è stato Il Giornale. Nel pieno stile del fogliaccio di Giordano si è trasformata da fatto di cronaca in notiziola di colore (“abbronzata”?)
* L’ambasciata giapponese ha confermato l’accaduto, per cui è improbabile che si tratti di bufala. Perché dunque nessuno dei quotidiani principali riporta la notizia?

Per capire l’entità del sequestro, basta far notare che se i bond fossero veri (improbabile, IMHO), l’Italia avrebbe diritto al 40% del capitale non dichiarato, circa 40 miliardi di euro, cioè 2 volte e mezzo la Finanziaria 2008.

Al momento le teorie sulla provenienza di quel capitale sono disparate:
* recupero di capitali portati di nascosto in svizzera: improbabile, sarebbe un patrimonio pari a quello dei tre uomini più ricchi del mondo, sommato.
* manovre finanziarie segrete del Tesoro USA per “ritoccare” il bilancio: altrettanto improbabile, sia considerando la modalità sia considerando che la teoria è partita dai siti più “complottisti” della destra repubblicana
* i giapponesi arrestati sono falsari: facile, ma chi potrebbe pensare di spacciare titoli da 500 miliardi di dollari a botta?
* i giapponesi sono vittima di truffatori: ecco, questa è la possibilità più concreta. Qualcuno deve essere stato molto convincente, e qualcuno molto stupido. Di nuovo, chi può pensare razionalmente di trafficare quantità di denaro a 10 zeri portandole nel doppio fondo di una valigetta?

A parte questo, non mi sarebbe dispiaciuto vedere la notizia, riportata anche con tutto lo scetticismo del caso, su qualche testata di primo piano.

Da tempo ho deciso di abbandonare Windows e, pur con tutte le difficoltà del caso, usare Linux per lavorare. In realtà WindowsXP è sempre lì; adesso gira in macchina virtuale per permettermi di utilizzare l’unico programma che non ha una versione nativa per Linux, per cui non ho trovato un equivalente OpenSource e che sotto Wine da troppi problemi. Però VirtualBox fa il suo lavoro e il sistema operativo di casa Microsoft viene aperto raramente e solo quando proprio non se ne può fare a meno.

Quello che però è assurdo è, quando apro la macchina virtuale,  dovermi ricominciare a preoccupare di tutte quelle cose che mi ero lasciato alle spalle: il rischio virus, gli aggiornamenti ossessivi ed invadenti, gli inviti del sistema operativo a riavviarlo, i tentativi continuativi di installare Explorer8 anche dopo che ho rifiutato n-mila volte.

Sono questi i veri momenti, quando si hanno aperti due sistemi operativi in contemporanea, che ci si rende veramente conto del salto di qualità che si è fatto quando si è cambiato OS e di come la vita (informatica) adesso sia molto più facile di prima.

(in)Formale by

15 Giu
2009

Una delle insidie lavorative moderne è l’apparente informalità di molti ambienti di lavoro.
Se sono il tuo capo, ci diamo del tu, ogni tanto pranziamo insieme, mentre lavoriamo è tutt’altro che vietato sorridere, non è necessariamente vero che sono tua amica; se poi sono solo in odore di diventare il tuo capo, forse non è il caso che io diventi la tua confidente e ti aiuti a uscire dai nodi gordiani dei tuoi dubbi.
Questo non perché io sia stronza, ma perché in ambito lavorativo giudico in ottica lavorativa.

Se ti sto assumendo e tu ti prendi una pausa in cui valuti un’altra offerta, mi viene il dubbio che tu voglia giocare al rialzo; se sono tua amica, magari so che che sei realmente dilaniata dai dubbi e hai bisogno di tempo.
Ma mi viene un dubbio: perché non hai temporeggiato con me, invece di raccontarmi tutto? La completa trasparenza non è necessariamente la mossa migliore, soprattutto in prossimità di un contratto.

Morale della favola? Se sono il capo sono il capo, se sono un possibile datore di lavoro non sono un tutor. In caso di dubbio pensami come un manager sessantenne bastardo a cui non ti sogneresti mai di dare del tu né un minimo di confidenza, e poi comportati di conseguenza.

Avevamo già parlato di lavoro qui.

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Fantasia portami via by

11 Giu
2009

E questo solo a guardare (senza nemmeno troppo approfondire) le uscite prossime venture. Se ci guardiamo indietro anche solo di poco troviamo cose come il ritorno di un imbolsitissimo Indiana Jones (I predatori dell’arca perduta è del 1981), Speed Racer (il manga originale è del 1958) o l’ennesimo film su Batman (il fumetto esordì nel 1939).

Io non voglio dire che siano tutti film brutti. Al contrario diversi di questi sono (o si annunciano essere) di pregevole fattura o, se non altro, piacevoli da vedere. Tuttavia non posso togliermi dalla testa che ci sia una evidente carenza di nuove idee nelle produzioni hollywoodiane recenti. O frustiamo gli sceneggiatori finché non partoriscono un’idea decente o frustiamo i manager finché non decidono di rischiare con qualcosa di nuovo. Possibilmente entrambe le cose.

Questioni di mappa by

10 Giu
2009

Sabato sono stata a OSMit, la prima conferenza italiana di Open Street Map. Qui è disponibile una sintesi della due giorni e qui si possono scaricare le presentazioni.
Sabato qualcuno mi ha chiesto se esisteva ancora WikiMapia, un incrocio tra Google Map e un wiki, e un rapido controllo online dice che sì, esiste ancora. Sembra esistere ancora anche Placeopedia, il progetto che si occupa di geolocalizzare le voci di Wikipedia.
Accomunata al resto dal solo fatto di essere mappa, segnalo la mappa del C++ (via Jtheo), dedicata ai veri aficionados!

Avevamo già parlato di OSM qui.

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Ieri ho comprato il dot m della Packard Bell, in uno degli n ipermercati di elettrodomestici nei dintorni di Milano.
La scelta è caduta su questo modello perché era quello con il monitor più grande (11,6” contro i 10,1” degli altri) sostanzialmente a parità di prezzo (pagato 399€). Le caratteristiche sono quelle della grande maggioranza dei netbook che ho visto: 1 GB di RAM, 160 Gb di disco, Win XP H.E., mic, cam, lettore di schede, ecc.
Il monitor è molto bello. In negozio era accesso accanto un Acer e non c’era paragone sulla brillantezza, luminosità e resa dei colori. Adesso ci sto lavorando accanto al mio Toshiba e non vedo grandi differenze.
I difetti che ho riscontrato finora sono due: l’attacco dell’alimentazione è decisamente nella posizione sbagliata, messo com’è tra la rete e una delle USB; è scomodissimo che per creare i dischi di ripristino (3 dvd..) io debba per forza attaccare un masterizzatore esterno.. non era proprio possibile pensare di creare delle iso su un hd esterno? Poi avrei potuto masterizzarle dove volevo.

Vita di seggio by

9 Giu
2009

Quest’anno mi hanno fatto fare il presidente di seggio. Forse non è stata la tornata elettorale più facile del mondo per farsi la prima esperienza in questo senso ma avevo già fatto lo scrutatore millemila volte e le persone al seggio con me erano più che sveglie. Insomma, in qualche modo ce la siamo cavati.

Vorrei mettere qui qualche considerazione sparsa su queste elezioni e sul meccanismo delle votazioni in generale, il tutto rigorosamente visto da dietro le urne.

  • Al giorno d’oggi non esiste alcun buon motivo per usare delle matite copiative. Capisco che il produttore di matite copiative ci tenga, ma continuo a non capire perché non usare una comunissima penna.
  • In tanti anni ai seggi non mi è mai capitato di vedere (o anche solo di sospettare) qualòcuno che trasformasse una scheda bianca in una scheda votata. Magari esistono zone d’Italia dove questo capita ma mi permetto di dubitarne. Il numero di persone con gli occhi puntati sulle schede è alto e la possibilità che siano tutti collusi mi sembra perlomeno remota. Tra l’altro una scheda non può diventare votata se è stata dichiarata bianca, non tornerebbero più i conti. Sospettare che ci sia un complotto che trasforma la vostra scheda bianca in una votata è paranoia. Poi siete liberissimi di essere paranoici se proprio ci tenete.
  • In molti hanno la convinzione che, se scrivono una frase di protesta sulla scheda, questa venga letta a voce alta dal presidente e venga messa a verbale. Tralasciando il fatto che non capisco che gusto ci sarebbe nel veder trascritti in un verbale i propri deliri personali il problema di fondo è che questa convinzione è falsa! Il presidente si limita a dichiarare la scheda nulla (le frasi vengono lette solo se spriritose per alleggerire l’atmosfera) e sul verbale scrive solo che l’intenzione di voto dell’elettore non era desumibile dai segni tracciati. Nessuna trascrizione sui verbali. Mi dispiace ma è così.
  • La storia dei telefonini e delle macchine fotografiche è un’idiozia per moltissimi motivi. Innanzi tutto il presidente di seggio non ha l’autorità di perquisire gli elettori e quindi si deve fidare della loro parola (se uno vuol proprio fotografare la pripria scheda . Seconda di poi è facilissimo fotografare un voto e darne un altro. È poco noto al grande pubblico ma se sbagliate a votare, cancellate e mettete la croce su un altro simbolo (o scrivete una preferenza diversa) il voto è valido. Quindi uno potrebbe entrare nella cabina, mettere il segno sul simbolo del partito A, fotografarlo, mandare la foto in modo da ricevere il compenso pattuito, cancellare con uno scarabocchio il segno appena messo ed apporne uno sul simbolo del partito B. Alla fine il voto sarebbe valido per il partito B ma il candidato del partito A (convinto di aver comprato un voto) si troverebbe con un pugno di mosche.
  • I rappresentanti di lista sono le persone più annoiate sulla faccia della terra. Passano l’intera durata della votazione a non far niente per i corridoi e a discutere con gli altri rappresentanti di lista. Poi, arrivati al momento dello scrutinio, sono arrabbiati col mondo per la giornata passata a fancazzeggiare e rompono le scatole su dei dettagli insignificanti (spesso trascurando le cose che magari avrebbero una certa importanza).
  • Scopo dei rappresentanti di lista sarebbe quello di vigilare sul corretto svolgimento delle procedure. Tuttavi, finito lo scrutinio, i rappresentanti di lista se ne vanno tutti. Invece dopo lo scrutinio c’è da compilare i verbali e riempire i vari plichi. Se c’è un broglio da fare è proprio quello l’unico momento dove è teoricamente possibile farlo. E nessuno di loro si prende la briga di controllare. Misteri…
  • Far fare lo scrutinio delle europee alla fine delle votazioni la domenica sera è stata una pessima idea. Le persone al seggio sono lì dalle 7 di mattina e quindi sono stanche e nervose. Le probabilità di commettere un errore (anche in perfetta buona fede) sono altissime. Al mio seggio non abbiamo sbagliato nulla e comunque abbiamo consegnato i plichi sigillati al comune (con verbali e schedse votate) alle due di notte. Un seggio che tanto tanto abbia sbagliato una sola scheda ci ha fatto almeno le quattro (con conseguente accumulo di stanchezza ed aumento delle possibilità di commettere errori).
  • La compilazione dei verbali è cervellotica. Sono convinto che ogni reponsabile delle elezioni dovrebbe fare il presidente di seggio (o almeno il segretario) una volta nella vita per rendersi conto di quanto siano stupidi i verbali che ci danno e di quanto siano poco chiare e contraddittorie le istruzioni fornite.
  • Segnare come preferenza il nome di una persona che non è candidata in nessuna lista è inquivocabilmentee motivo di annullamento della scheda. Mi dispiace per tutti quelli che hanno messo Berlusconi come preferenza alle comunali ma così facendo non solo hanno annullato il loro voto di preferenza, ma anche il proprio voto di lista ed il proprio voto all’elezione del sindaco.
  • Va bene frazionare i partiti della sinistra, ma perché sulle schede delle comunali da noi doveva esserci un partito chiamato “La Sinistra Scandicci” ed uno chiamato “Sinistra per Scandicci”? Non lo immaginavate che la gente avrebbe fatto casino? Non vi è venuto in mente che avrebbero messo la croce su un simbolo e la preferenza per un candidato di un altro partito invalidando così la scheda? Non vi è passato per il cervello che così facendo avete perso voti in due?

Aggiornamento

Dato che (sia qui nei commenti che in privato) mi sono stati chiesti alcuni chiarimenti provvedo:

A pagina 99 delle “Istruzioni per le operazioni degli uffici elettorali di sezione (Elezione diretta del presidente della provincia e del consiglio provinciale. Elezione diretta del sindaco e del consiglio comunale. Pubblicazione n.14)” in fondo alla pagina (paragrafo §96 – Principio della non riconoscibilità del voto) si legge: “La giurisprudenza prevalente del Consiglio di Stato è comunque ferma nel ritenereche è nullo il voto che contenga l’espressione di preferenza per un nominativo che non corrisponde a quello di nessuno dei candidati, costituendo siffatta erronea indicazione un palese segno di riconoscimento del voto, salvo che, per tipo di errore e per collocazione del nominativo, possa ritenersi che si tratti esclusivamente di un errore dell’elettore dovuto ad ignoranza”. La mia interpretazione (che ha trovato concordi all’unanimità scrutatori e rappresentanti di lista di ogni schieramento) è che, mentre l’errore di spelling o l’aver sbagliato il rigo su cui scrivere lasciano il voto più che valido, l’inserire la preferenza per “Paolino Paperino” vada considerato un segno di riconoscimento e quindi annulli il voto. L’analogo manuale di istruzioni per l’elezione dei membri del Parlamento europeo è, su questo argomento assai meno chiaro (non esiste una sezione dedicata esplicitamente alla disanima dei casi di riconoscibilità del voto) e quindi, in accordo con scrutatori e rappresentanti di lista, abbiamo deciso che, nel caso ci fossimo trovati davanti a casi analoghi, avremmo applicato lo stesso principio. In realtà poi alle elezioni europee casi di questo genere non ne abbiamo avuti e quindi il problema non si è posto (per le comunali invece ne abbiamo avuti quattro o cinque).

Nelle pagine 98 e 99 (sempre paragrafo §96) del manuale si legge: “non invalidano il voto espresso, non potendo assurgere, di per sé, al rango di segno di riconoscimento: […] il voto espresso da un elettore in sostituzione di uno precedentemente segnato e cancellato, per errore o per resipiscenza; tale voto va quindi ritenuto valido, purché nel caso concreto sia univoca la volontà dell’elettore stesso di recedere dalla precedente espressione di voto”. Anche qui l’interpretazione ci è sembrata chiara: cancellare in modo chiaro il voto e sostituirlo con un altro è lecito e non invalida la scheda in alcun modo (anche qui gli unici due casi li abbiamo avuti in relazione alle comunali ma avrei applicato lo stesso principio anche alle europee se si fosse presentata l’occasione).

Spero di aver chiarito la cosa.

(da “sciccherie” )

Oggi è il primo degli “election day”. Molti blogger hanno espresso le loro considerazioni sul voto e il loro pensiero. Io non lo farò.

Vorrei dispensare qualche consiglio. Mi sento un po’ paterno in questo frangente. Il “non voto” o l’astensionismo, ad esempio, sono controproducenti: l’espressione democratica è un diritto e dovere. L’Italia, così come l’Europa, non è un’anarchia. Dei rappresentanti, piaccia o no, dobbiamo averli. Non esprimere le proprie preferenze è fare un danno a sé stessi e al Paese.

Bisognerebbe pensare fino a pochi istanti prima di mettere la X sul simbolo. Siamo sicuri che quello che si sta segnando è il partito maggiormente degno nel garantire il proprio ideale? Il voto di “protesta” è dannoso quanto quello non dato. “Odio quella politica perseguita da Y, ma almeno Y ha un programma, ascolta le nostre esigenze”. Frase, quest’ultima, pronunciata con la convinzione di disperdere il proprio voto. Per lo stesso motivo, tempo fa, la Francia rischiò seriamente di uscire dall’Unione Europea.

Stessa cosa vale per il “conosco quello. Lui sì che mi può soddisfare!” Cosa può soddisfare? L’interesse personale? Gli individui si dovrebbero votare perché abbracciano una determinata filosofia, non per le promesse che (non) possono mantenere. A meno che non si vada a caccia di poltrone o di bisogni soggettivi, ma si tratta di storie diverse. Oltremodo, abusare di un proprio potere politico per “fare piaceri all’amico” diventa corruzione, peculato, abuso d’ufficio, e così via. Anche in questo caso, prima di votare “l’amico” (dei giorni pre-votazioni?) converrebbe riflettere.

Si dovrebbe votare il “partito che insegue il mio ideale”. Sovente capita vedere veri e propri “clan” muoversi da destra al centro e poi a sinistra per tornare dopo a destra e di nuovo al centro. Ecco, che interesse pubblico possono consolidare verso l’elettorato attivo politici che si muovono come il cavallo negli scacchi? L’ideale non è l’essere “contro questo” o “contro quell’altro”, ma l’inseguire in concreto un determinato principio utile ad affermare l’esclusivo benessere generale. Con qualche sacrificio, ovviamente.

Altro rischio enorme si ha quando il viso sorridente di turno, vedendo un diciottenne incerto sul da farsi, si avvicina illustrandogli cosa fare o non fare, dando per omaggio un volantino con qualche manciata di spiccioli nel mezzo. Il denaro potrebbe fare la felicità. Specie in tempo di crisi (ah, no, è psicologica… – cit. -). Accettare questo genere di “sinallagma” è un reato. Qualcuno dirà che i soldi “fanno comodo”. E se davanti a quel qualcuno si presentassero due finanzieri, cosa farebbe?

Impossibile che non si abbia un ideale. Anzi, forse si. Colpa di chi non illustra la storia – anche in maniera divertente – agli adolescenti e di stampa e tv che si soffermano sugli insulti, sui gossip e sui reality show. L’ideale si basa su “quello ha insultato l’altro”, senza badare allo scopo ricercato dai due interlocutori che, magari, la sera vanno a bere birra insieme dopo centinaia di parolacce (e qui non c’è nulla di male: ma almeno si spieghi alla gente perché si arriva al “monellaccio furbacchione” e “cattivone bricconcello”). Bello schifo.

Così come l’ideale non è rappresentato da un “partito di categoria”. Giovani, Anziani, Impotenti o quant’altro. Non per altro, ma una volta c’erano le cosiddette “Gilde“. Perché, per dire, un anziano dovrebbe avere una comunanza di credo con un altro? Se uno è ateo e l’altro cattolico fervente (per esempio), avranno le stesse idee sulla laicità dello Stato o no (art. 7 Cost.)?

Sarebbe importante tener d’occhio anche le singole candidature: verificando l’effettiva garanzia del soggetto, i suoi precedenti politici e le sue attività, anche extra. Il cittadino ha l’obbligo di conoscere qualsiasi caratteristica della persona di cui scrive il nome. Anche il numero di peli in prossimità dell’ano (si, sono volgare). Questione di trasparenza e onestà. È come l’acquisto di un’obbligazione: qualcuno si ricorderà cosa è accaduto a chi ha ignorato le clausole in piccolo

Scritto questo (per ora), fate che cazzo vi pare…

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Bokassa rap by

5 Giu
2009

La canzone è di almeno 10 anni fa (la data non la ricvordo ma andavo ancora al liceo). Direi che non è cambiato molto da allora. Forse abbiamo solo perso un po’ di capacità di fare ironia e ci siamo abituati alla censura della satira.

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