Google Alert mi ha segnalato pochi minuti fa questo e non felice di aver lasciato un commento (attualmente in attesa di moderazione), provo a spiegare qui tutti gli errori che ci sono lì, nella (vana) speranza che sia utile anche ad altri.

[..]Recentemente però la Wikimedia Foundation (l’azienda che ha sviluppato Wikipedia) ha rilasciato WikiAnswers.com, le cui sorti sono però molto dubbie.

1. Wikimedia Foundation non è una azienda. Come il nome lascia intuire è una fondazione.
2. WikiAnswers non è un prodotto Wikimedia, bensì di Answers Corporation (la stessa di Answers.com) come deducibile dal sito stesso o, volendo, guardando su en.wiki

Pare infatti che soli pochi mesi fa Jimmy Wales (il creatore della succitata enciclopedia online) avesse dichiarato che Wikia search avrebbe presto chiuso i battenti. Ma, stando alle ricerche si direbbe che Wikianswers stia suscitando consenso

3. Jimmy Wales è il fondatore di Wikipedia (corretto), Jimmy Wales è il fondatore di Wikia (corretto, ma nell’articolo non si dice), Jimmy Wales è l’ex-presidente e membro del consiglio direttivo di Wikimedia Foundation (corretto, ma nell’articolo non si dice).
4. Wikia è Wikimedia Foundation è falso, nel post si introduce una correlazione non chiara tra Wikia e WMF e tra i prodotti dell’una e dell’altra. Wikia è una società (quindi, for profit) di Jimmy Wales, completamente separata da WMF.
5. Wikia Search è di WMF o Wikia Search esiste ancora, sono affermazioni false. Wikia Search, come il nome stesso suggerisce, è stato un prodotto di Wikia. Come scritto anche qui, Wikia Search ha chiuso il 31 marzo 2009.
6. Wikia Search non è Wikianswers

[..]ma non bisogna dimenticare che l’ultimo prodotto made in Wikimedia Foundation è stato rilasciato solo un anno fa

Alla luce di quanto scritto finora, di quale prodotto WMF stiamo parlando?

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Ieri si sono rotti i commenti. Grazie alla saggezza del dott. Beggi (basta che dica “Dica 33” e tutto va a posto) ho buttato via il tema e ne ho messo uno nuovo, e ora tutto va. Può darsi che in questi giorni giochi ancora coi temi.. ma starò attenta ai commenti!

  • Cassettato in: tech

Ho appena scritto al servizio clienti di HP. Ecco la mail:

Gentili signori,
dal 7 luglio (inizialmente con ticket #xxxxxxxx38 e in seguito con ticket #xxxxxxxx97) sto aspettando che mi venga sostituito il lettore ottico di un server DL 320 g5p nuovo (guasto riscontrato appena acceso il server).
Da allora mi sono stati inviati 4 lettori (alcuni ripetutamente) tutti errati, due dei quali portati a mano da un tecnico.
Diverse volte ho fornito ai vostri operatori immagini comparate del lettore guasto rispetto al lettore che mi era stato inviato, dove era visibile ad occhio nudo che le due parti non si somigliavano nemmeno lontanamente.

Settimana scorsa, per l’esattezza il giorno 29, il sig. xxx (NdF: tecnico di HP) mi scriveva via mail che il giorno seguente sarei stata contattata dal tecnico per l’installazione della parte. Non avendo ricevuto alcuna chiamata il 31 ho telefonato per l’ennesima volta ai vostri operatori. Non riuscendo a parlare con gli operatori che si occupano dei server (una cosa sgradevolmente frequente, insieme alle cadute di linea alla fine di attese lunghissime) una gentile operatrice mi ha detto che nella pratica era indicato che non era disponibile il pezzo e che comunque mi avrebbe fatto contattare da qualcuno di quelli che seguivano direttamente la mia pratica.
Non avendo ricevuto nessuna chiamata, oggi ho ritelefonato. Stranamente non sono riuscita a parlare con nessun tecnico che si occupa di server (ad un certo punto mi ha risposto il sig. yyy, ma mi ha attaccato il telefono in faccia appena ho detto “vorrei notizie sul ticket numero..”, dev’essere la solita linea ballerina che cade quando si contatta quel dipartimento!), ma la solita gentile operatrice ha reinserito una nota sul contattarmi urgentemente.

Ora mi hanno avvisato che forse domani (6 agosto, ad un mese dall’apertura del ticket) verrà il tecnico ad installare il pezzo (ammesso e non concesso che stavolta sia quello giusto).

Alla luce di questi fatti, volete cortesemente dirmi:
1. come giustifico ai miei clienti che dopo un mese ancora non possiamo mettere in servizio il server perché il lettore ottico non c’è?
2. il mio tempo ha un certo costo. A chi addebito le giornate spese per inseguire i vostri operatori?
3. con che coraggio la prossima volta che devo comprare dell’hardware, posso acquistare del vostro materiale?

Distinti saluti,
Frieda Brioschi

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[Ve lo ricordate Walter Fontana nelle schede di Mai Dire Gol? Lui. Il titolo va letto esattamente con la sua voce/intonazione.]

Internet: Wikipedia ‘malata’ – I contenuti crescono poco e ci sono sempre meno autori (ANSA di oggi)
Wikipedia, in calo i contributi degli utenti РIl numero di voci aggiunte su base mensile ̬ diminuito di circa un terzo rispetto ai 60 mila articoli del 2006 (il Corriere di oggi)

Due righe di commento a caldo qui.

Poi mi ha cercata una giornalista ANSA e mi sono trovata a scrivere papiri di elucubrazioni sul tema, che ripropongo qui, perché il tema (al di là del sensazionalismo) mi sembra interessante.
Più che ANSA e Corriere le fonti interessanti/ufficiali sono questa e questa.

Prima di tutto tranquillizzatevi: it.wiki gode di ottima salute! (come si può vedere qui l’edizione italiana non ha grossi scostamenti sul trend della crescita da almeno due anni) Lo studio si riferisce a en.wiki, l’edizione in inglese.
I dati dello studio mi sembrano corretti e non del tutto inaspettati, non concordo invece sulle conclusioni che ne traggono o meglio, che si intuiscono qua e là leggendo in rete.

Partiamo dalla prima: en.wiki non cresce più (esponenzialmente). Ho due risposte: completezza e qualità.
L’edizione inglese in questo momento ha circa 3 milioni di voci quando un’enciclopedia tradizionale ne ha qualche centinaio di migliaia; non ho visto da nessuna parte un’analisi contenutistica che dica quanto i vari campi del sapere sono trattati in dettaglio ma su così tante voci non mi aspetto grosse lacune da riempire. Mi immagino invece che gran parte delle voci che vengono inserite siano voci non enciclopediche che vengono poi eliminate.
Da parecchio tempo ormai Wikipedia ha abbandonato l’inseguimento dei numeri (che ha fatto molto clamore all’inizio e l’ha aiutata a farsi conoscere) a favore della ricerca di un miglioramento continuo della qualità delle stesse. Le voci non crescono ma (magari) il contenuto migliora.

Ci sono meno editor: non sapendo cosa viene considerato per editor (solo utenti registrati? anche gli anonimi? basta una modifica per essere un editor?) non sono in grado di commentare.

Troppi revert ultimamente: una sola analisi quantitativa mi porta a dire che il quinto sito al mondo raccolga più spam di un’enciclopedia misconosciuta.

en.wiki è sempre stata il precursore (rispetto alle altre edizioni). Direi che dopo 7 anni di crescita vertigionosa e 2 di crescita, uno studio che cerchi di capire a che è della sua evoluzione e dove sta andando sia quasi doveroso.
Certo è che nessuno, per quel che mi consta, sa esattamente come possa andare un wiki alla fine: è uno strumento che non è mai stato “stressato” come sta facendo Wikipedia. Distaccandosi un attimo dall’enciclopedia e soffermandoci solo sul wiki, si potrebbe dire che stiamo assistendo ad un enorme esperimento che dura da oltre 9 anni e che recentemente, per la prima volta, modifica in maniera significativa il suo comportamento.
Se devo mettermi a fare la sensazionalista anch’io posso lanciarmi in un:

io penso che forse Wikipedia un giorno finirà, ma per en.wiki quel giorno non è ancora arrivato 🙂

Dalla notte dei tempi ho assistito e partecipato a diverse discussioni (dal sapore vagamente fantascientifico) sulla fine di Wikipedia; a memori ricordo due filoni:
* da un punto di vista della completezza si può presumere che ad un certo punto le informazioni da raccogliere diventeranno poche (i fatti prima di diventare enciclopedici richiedono del tempo, altrimenti sono notizie da quotidiano et similia, e si rischia il recentismo ossia si raccolgono fatti che oggi sembrano importantissimi ma che tra 50 anni saranno una virgola) e il sistema non necessariamente manterrà le stesse attrattive che ha avuto finora (in un mondo così incompleto come una Wikipedia o una sua sezione, si trova il modo di inventarsi pionieri)
* da un punto di vista più “pratico” (?) il circolo virtuoso che tiene in piedi il wiki potrebbe collassare. Wikipedia (e i wiki) in genere funzionano così:

apri il sito
ci metti del contenuto (una certa quantità minima non nota a priori)
il motore di ricerca la indicizza
la gente trova il tuo sito
gli piace
ci rimane
partecipa
fa aumentare il contenuto
più il contenuto cresce più visibilità hai
più utenti che contribuiscono
e via.

Il circolo virtuoso che si è instaurato si autoalimenta e tiene in piedi il sistema.
Ci sarà un momento in cui il sistema sarà saturo, non sarà possibile essere più visibili di così e gli utenti inizieranno gradualmente a diminuire? Lo ritengo plausibile. Se gli utenti calano troppo i contributi “negativi” (vandalismi, spam) a Wikipedia potrebbero superare quelli positivi e il sistema potrebbe non reggersi più in piedi.
(Hai letto fin qui? Fila a scrivere qualcosa su Wikipedia per diminuire l’entropia del sistema!)

@update: ne parlano anche .mau. e il sig. G. Qui qualche brandello per l’ANSA.

Capita con una certa frequenza che l’uso di un tal medicinale venga autorizzato dopo appropriata sperimentazione scientifica e capita anche che l’uso venga vietato. Di solito non è che la cosa faccia notizia. Pare che per la pillola abortiva RU486 la situazione sia diversa: ancora prima che venisse presa una decisione (tra le latre cose da un organo che, per quanto ne so, non si occupa di etica ma che valuta solo se un dato medicinale sia efficace e se sia o meno pericoloso) il dibattito si è subito polarizzato nello scontro diretto fra posizioni anti-abortiste (spesso chiamati “movimenti per la vita” o altre varianti sul tema) e le posizioni pro-abortiste.

Io lo so che in questo nostro bel paese siamo abituati a prendere un argomento serio e rigirarlo finché non è possibile descriverlo come scontro fra due posizioni inconciliabili. Che siano Guelfi e Ghibellini, destra e sinistra, scienza e fede, milanisti e interisti sembra che ci piaccia organizzare ogni dibattito sotto forma di scontro frontale. Del resto se le posizioni sono soltanto due e non hanno nessun possibile punto di contatto si fa meno fatica a decidere da che parte stare. E siccome tertium non datur chiunque proponga una visione fuori dagli schemi viene escluso dalla discussione. Che poi non è che sia ‘sta gran discussione: nella quasi totalità dei casi è fatta di urla, proclami vuoti e numeri sparati a casaccio.

Ecco quello che volevo dire è proprio che dividere il mondo in pro e contro l’aborto mi sembra un’idiozia. A rigore siamo tutti contro l’aborto. Nessuno è contento e stappa lo spumante quando una donna abortisce mentre qualcuno che festeggia quando un bambino nasce lo trovate sempre. Tutti puntiamo ad una diminuzione dei casi di aborto. La differenza sostanziale, su cui si potrebbe dibattere, è quale sia la strategia migliore per raggiungere questo scopo.

Un approccio possibile è quello di vietare gli aborti per legge punto e basta. Come metodo ha il vantaggio di essere diretto ed immediato e lo svantaggio di non funzionare un granché. Una parte di chi avrebbe voluto abortire lo farà lo stesso andando in uno stato dove questo sia legale o lo farà (a rischio della propria salute) in clandestinità. Altri non abortiranno (e questo lo si potrebbe vedere come un buon risultato) ma si terranno addosso il peso di tutte le motivazioni per cui avrebbero voluto abortire. Ovviamente l’aborto non può essere un metodo anticoncezionale ma donne violentate o psicologicamente impreparate si vedrebbero costrette per legge a tenersi il figlio e questo non credo farebbe bene nè a loro nè al bambino. A questo vanno aggiunti i casi in cui abortire il figlio vuol dire salvare la madre (esempio: la facciamo o non la facciamo la chemioterapia a questa donna malata di cancro?). Se gli aborti sono vietati per legge allora stiamo condannando a morte le madri.

Un altro approccio possibile è quello di vietare l’aborto da un punto di vista etico/morale. La donna che abortisce viene stigmatizzata come infanticida e perseguitata per il resto dei suoi giorni trasformandola in una Paria. In questo modo saranno le donne stesse che, pur di non subirne le conseguenze, accetteranno di tenere il bambino. Le controindicazioni però sono le stesse di qui sopra con l’aggravante dell’instillare un senso di colpa in persone già fortemente provate che potrebbe minarne seriamente la salute mentale e che plausibilmente ne distruggerà la vita.

Una terza possibilità è quella della liberalizzazione selvaggia. Una volta che una certa pratica è uso comune si potrebbe pensare che la gente smetterà di considerarla ‘sta gran cosa e ne farà un uso limitato (un po’ come togliere il proebizionismo). Il vantaggio è il pieno ripetto della volontà della donna che potrebbe decidere in piena autonomia cosa fare e cosa non fare. Tuttavia questa strada rischia di trasformare l’aborto da ultima ratio a cui ricorrere dopo lunghe riflessioni in un’attività comune e quindi si rischia di ottenere bnanalmente lìeffetto opposto a quello voluto.

Un’altra possibilità è quella di fare prevenzione. Invece di impedire a qualcuno di abortire facciamo in modo che, ancora prima di concepire un bambino, abbia tutte le informazioni su come prevenire una gravidanza indesiderata, sappia a chi rivolgersi in caso restasse incinta e sia ben cosciente che il figlio non desiderato può essere tranquillamente non riconosciuto e dato in adozione. Il vantaggio sarebbe una diminuzione del numero di aborti lo svantaggio è che diminuzione non vuol dire azzeramento. Qualcuno potrebbe anche obbiettare che l’uso del preservativo o di altri anticoncezionali è anch’esso riprovevole ma non ho voglia di addentrarmi nella complicata spiegazione di perché io ritengo abbastanza insostenibili posizioni del genere.

Un’ultima possibilità (magari ce ne sono tantissime altre ma a me ora vengono in mente solo queste) è di creare degli incentivi per indurre le donne a tenersi il figlio. Una ragazzina quattordicenne incosciente che è rimasta incinta è più facile che decida di tenere il figlio se attorno a sè trova un ambiente accogliente e uno stato sociale che le permette di dar da mangiare a se stessa ed il figlio. Ovviamente se invece viene additata come una poco di buono e lasciata sola davanti alla montagna di problemi che dovrà affrontare (e che plausibilmente non è preparata a gestire) è plausibile che faccia una scelta diversa.

Ecco, invece di discutere su pregi e difetti di proposte del genere il dibattito è fra chi propugna una combinazione delle prime due possibilità (tipicamente le gerarchie vaticane ed i vari “gruppi per la vita”) e chi si batte a spada tratta per la terza (i cosiddetti “pro-aborto”). In realtà sospetto che il numero di persone che preferirebbero come me una combinazione della quarta e quinta possibilità siano tanti. Solo che nello scontro pubblico sono invisibili e quindi non contano.

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Il testo del decreto è finalmente visibile on-line (se avete la pazienza di scavare nel sito del ministero). Come temevo fra gli annunci dati in conferenza stampa e la realtà del decreto le differenze sono tutt’altro che trascurabili. Appena avrò tempo cercherò di fare un’analisi punto per punto ma, nel frattempo, vi propongo il comunicato (sintetico ma condivisibile) dell’Associazione Precari della Ricerca Italiani (APRI):

L’Associazione dei Precari della Ricerca Italiani esprime forte rammarico e contrarietà rispetto al testo definitivo del Decreto Ministeriale sui criteri di valutazione dei titoli e delle pubblicazioni per i concorsi da ricercatore, firmato il 28 Luglio 2009 dal Ministro Gelmini, con oltre 6 mesi di ritardo.

A dispetto degli annunci mediatici del “Pacchetto Università” del 24 Luglio, in cui venivano annunciati criteri di valutazione basati su i tanto auspicati principi di trasparenza e meritocrazia, rimaniamo sconcertati di fronte ad un Decreto Ministeriale che nulla cambia rispetto ai precedenti criteri di valutazione, quelli del DPR “Berlinguer”, che tanti danni hanno fatto nel nostro sistema universitario.
È sufficiente leggere il testo del Decreto per convincersi che le commissioni dei concorsi avranno una discrezionalità praticamente assoluta, sia relativamente al peso da dare ai titoli sia su come valutare le pubblicazioni. Inoltre, l’assenza di punteggi numerici o di altri accorgimenti (che pure avevamo puntualmente segnalato al Ministero) toglie alle procedure concorsuali la benché minima trasparenza.
In particolare lascia interdetti la discrepanza tra il comunicato stampa del MIUR del 24 Luglio ed il contenuto del Decreto Ministeriale. Infatti scrive l’Ufficio Stampa del MIUR: “nel DM si segnala come indicazione che ogni titolo scientifico sarà valutato separatamente e specificamente, per evitare giudizi sommari e approssimativi”. Rimarchiamo con forza che nulla di tutto ciò è previsto nel Decreto Ministeriale firmato ieri dal Ministro Gelmini ed i concorsi da ricercatore continueranno a svolgersi con quei “giudizi sommari” che il Ministro a parole dice di voler eliminare! Ci chiediamo allora: il testo del Decreto è stato cambiato prima della firma definitiva del Ministro, e per quale motivo? oppure siamo di fronte solamente ad una operazione di immagine?
Rileviamo ancora che la maggior parte dei (pochi) bandi di concorso a posti da ricercatore banditi nelle ultime settimane continua a prevedere un limite massimo (solitamente molto basso) al numero di pubblicazioni che i candidati possono presentare, fatto incredibile visto che ora le pubblicazioni sono il “cuore” dei nuovi concorsi da ricercatore (non essendoci più le prove d’esame). Si conferma il chiaro intento di molti atenei di “tagliare le gambe” ai candidati più meritevoli, quelli con la maggiore produttività scientifica. A conferma di ciò, anche la presenza nei bandi di presunte “prove orali” in modo da poter attribuire all’illustrazione dei titoli un peso arbitrariamente alto nella valutazione. Con buona pace della meritocrazia! Tutto questo è illegittimo oltre che ingiusto. E chiediamo con forza al MIUR di intervenire urgentemente.

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L’epopea della Gelmini by

27 Lug
2009

A meno che non abitiate in una profonda caverna (nel qual caso spiegatemi come fate a leggere questo blog) venerdì scorso, su un qualunque giornale, telegiornale o radiogiornale, sarete stati investiti da millemila servizi su come il nostro governo abbia approvato il “Regolamento concernente la struttura ed il funzionamento dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca” (ovvero il regolamento dell’Anvur) ed il “Regolamento concernente il riconoscimento dei titoli di studio accademici” (ovvero il regolamento su come vanno fatti i concorsi per assumere nuovi ricercatori e professori).

Premesso che il regolamento dell’Anvur era già stato fatto (per quanto un filo coi piedi) dal governo precedente e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 9 aprile 2008 (e che quindi al ministro Gelmini c’è voluto un anno abbondante per far uscire un regolamento che c’era già e che magari era da migliorare ma che non si capisce perché buttare alle ortiche) sorprende un tantinello che al momento in cui scrivo, ovvero 3 giorni abbondanti dopo, tali regolamenti non sia ancora possibile consultarli. Infatti, come fanno notare sul forum dell’APRI, i link ai provvedimenti ci sono ma le pagine a cui rimandano sono allegramente bianche.

Da questo se ne deduce che il 100% dei giornalisti che hanno fatto fior di servizi spiegandoci come sarà l’università del futuro lo hanno fatto basandosi più o meno sul nulla. Infatti, a questo momento, l’unica fonte è un comunicato stampa del governo che però, se mi permettete, conta come il due di picche in assenza del testo vero e proprio dei due decreti.

Ora, che senso ha non mettere a disposizione dei cittadini due decreti già approvati e firmati? Magari a pensar male si fa peccato ma l’idea che questi decreti proprio definitivi non siano e che ci stiano ancora lavorando sopra un po’ viene…

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Ho appena aggiornato tutto l’ambaradan all’ultimissima versione di WordPress. Si spera che questo risolva i problemi di spam nei feed su Google reader che alcuni ci hanno segnalato (se il problema dovesse permanere, cacciate un urlo nella mia direzione, grazie!).
Per stanotte la faccia del blog rimane il tema di default, asap (tempo, Hewlett Packard e zanzare permettendo) torneranno i colorini che tanto vi piacciono :-p

  • Cassettato in: tech

In ambito scientifico è prassi normale che un articolo, prima di essere pubblicato, venga controllato (a titolo gratuito) da uno o più esperti del settore secondo il sistema del peer review.

Ecco, giusto ieri, appena rientrato dalle mie brevi (ma infinitamente rilassanti) vacanze, mi sono trovato nella casella di posta elettronica una richiesta, da parte di una piccola rivista mai sentita prima, di fare da revisore di un articolo che gli era stato mandato. L’argomento rientrava nelle mie competenze e quindi ho accettato (quando si ha un curriculum ancora magrino poter dire di aver fatto il revisore per questa o quella rivista è pur sempre qualcosa). Quando però sono andato a prendere in mano l’articolo mi sono pian piano accorto che qualcosa non andava.

Innanzi tutto conosco (anche se di vista) l’autore: questo non sarebbe nulla di male se non fosse che ne ho una pessima opinione. Infatti si tratta di un vecchio professore (non della mia università) di scarsi meriti scientifici ma con moltissimi agganci. Insomma, un barone della peggior specie. In più è anche famoso per portare rancore. Seconda di poi l’articolo in questione è una delle cose più brutte che mi sia mai passato sotto mano. Anche tralasciando l’inglese maccheronico con cui è scritto la sua rilevanza scientifica è nulla. Non è che sia sbagliato, banalmente non dice nulla che non sia già noto da almeno dieci anni e molti dei “risultati” potrebbero tranquillamente essere ricavati da uno studente come esercizio per un esame.

Fin qui ancora non ci sarebbero grossi problemi: il referaggio è anonimo e quindi sarebbe bastato scrivere ai redattori della rivista che l’articolo è di scarsa qualità (esplicitando con cura i motivi) e sarebbe finita qui. Il vero problema è venuto fuori quando ho scoperto che l’autore è anche l’editore della rivista. Trascurando i problemi etici che derivano da mandare un proprio articolo ad una rivista di cui si è editore (se sei tu a decidere cosa deve essere pubblicato è ovvio che i tuoi articoli passeranno anche se sono di scarsissima qualità) il vero problema è che l’anonimità dei revisori non è più garantita. Quando lui avesse visto la mia recensione assolutamente negativa avrebbe potuto in pochi secondi risalire al mio nome e cognome e vendicarsi rendendo la mia carriera accademica più difficile di quanto già non sia, magari tirando dentro anche altra gente del mio gruppo che non c’entra assolutamente nulla. D’altra parte l’idea di fare un a recensione positiva ad una porcata del genere mi fa accapponare la pelle e questa impasse mi ha messo in una situazione francamente imbarazzante. Certo, se lavorassi all’estero la cosa non mi avrebbe toccato minimamente, ma sfortuna vuole che io sia ancora incastrato in questo piccolo paese e quindi è bene non inimicarsi troppo persone che potrebbero tagliarmi le gambe.

La situazione francamente mi ripugna (e mi fa venire una gran voglia di scappare in qualche paese scandinavo) ma stamani, ingoiando il mio profondo disgusto, ho fatto l’unica cosa possibile. Ho scritto ai redattori della rivista inventando degli impegni inesistenti che mi impediranno di trovare il tempo di fare la revisione dell’articolo e scusandomi molto per l’inconveniente.

Mi sento sporco…

Sabato 11 luglio sono stata a Firenze al Palazzo Vecchio Barcamp. La decisione è stata improvvisa, ispirata dalla storia travagliata di Wikimedia (e Wikipedia) con Firenze, da una parte querele e battaglie legali, dall’altra una serie di raduni e di felici partecipazioni al Festival della Creatività.
Ecco le slide che ho presentato:


(NB: le slide originali non sono in Comic Sans, il carattere l’ha sostituito Slideshare)

Del barcamp mi è piaciuta l’idea e la rapidità di risposta dei fiorentini, mentre non mi è piaciuta la location (troppo grande, troppo rimbombante, niente microfoni, turisti in giri, un sacco di gente a spasso per farsi una vasca e non per partecipare) e la presenza della pa. Tutti i relatori, chi più chi meno, si aspettavano di parlare ad un interlocutore istituzionale che raramente c’era (non tutti gli interventi sono stati videoregistrati, ad esempio) e in molti casi non sapevano nemmeno cosa fosse esattamente un barcamp.
Per ora ho la microimpressione che il barcamp non sia finito con la fine della giornata, perché le pagine sul wiki continuano a crescere e cambiare.. vediamo!

Per approfondire: la rassegna.

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