Avete presente Jimmy Wales, il fondatore di Wikipedia? Quel progetto tanto simpatico che ha una associazione ufficialmente riconosciuta in Italia che si sbatte da mattina a sera per far sì che la gente sappia che esiste, abbia le informazioni corrette e non quelle storpiate dalla stampa che abitualmente circolano, associazione di cui sono (disgraziatamente, a questo punto) presidente?

Jimmy Wales sarà in Italia fra qualche giorno. A prescindere dal fatto che l’abbiamo scoperto dai giornali (e già questo per me è gravissimo), il 29 maggio (quasi 5 mesi fa!) ho scritto a Jimmy:

Hi Jimmy,
I read in the newspaper that you’ll be in Italy in October for BergamoScienza.
Will you have some spare time to meet italian wikimedians?

Cheers,
Frieda

Risposta: al momento ne so ancora troppo poco del programma, ma vediamo. In cc la sua segretaria, la quale un paio di giorni dopo aggiunge una mail contritissima in cui è veramente dispiaciuta che io abbia l’impressione che non mi abbiano detto di questo viaggio prima che lo scoprissi dai giornali, ma non hanno fatto apposta e che mi terranno informatissima.

25 settembre:

Hi Lisa,
I was wondering if you have any news about BergamoScienza..

Thank you,
Frieda

Risposta: non ho sottomano il computer, non ancora chiaro tutto il programma, ci lavoro con Jimmy nel weekend e lunedì ti faccio sapere.
Lunedì sarebbe stato il 28 settembre.

La fatidica goccia è oggi, quando il Google Alert su Wikipedia mi segnala questo.

Non ci vuoi incontrare? Benissimo, basta dirlo. A me non frega nulla, ma ai miei che Jimmy l’hanno visto solo in foto e che hanno tormentato l’organizzazione di BergamoScienza per organizzare cose (tentativi caduti assolutamente nel nulla), magari faceva anche piacere.
A casa mia comportarsi così è da maleducati, chissà a casa Wales.

La fretta è una cattiva consigliera. Soprattutto quando si parla di scienza e, ancora di più, quando si parla di trial clinici per dimostrare l’efficacia di un dato medicinale. Fatto sta che lo scorso 24 Settembre è apparso sui giornali (e telegiornali) di tutto il mondo l’annuncio di una rivoluzionaria scoperta per quanto riguarda il vaccino contro l’AIDS (esempio, esempio, esempio, ecc.). Scoprire un vaccino del genere, anche uno con una efficacia limitata, sarebbe un colpo fantastico e, non a caso, i toni sono stati unanimamente eccitati e pieni di speranza.

C’è però un piccolo dettaglio da considerare, ovvero che il vaccino di cui si cantavano le lodi in realtà non funziona. Questa volta non è nemmeno tutta colpa dei giornalisti: in effetti c’è stata una conferenza stampa dove i risultati positivi sono stati presentati al pubblico e (giustamente) i giornalisti si son fidati di quello che gli dicevano gli scienziati. Il problema è che il 24 Settembre l’analisi dei dati non era completa; è vero che la prima analisi dava una riduzione della probabilità di infettarsi del 32% con una confidenza del 95% ( ricordatevi sempre che le analisi statistiche non danno mai certezze ma solo probabilità), ma è una procedura standard rifare i conti escludendo coloro che non hanno seguito in maniera puntuale il protocollo (ad esempio chi si è scordato di prendere il vaccino in una certa data ecc.). Se i risultati positivi reggono anche a questo secondo, e più stringente, round di analisi allora ci si può ragionevolmente fidare, altrimenti no.

Inizialmente i risultati dovevano essere presentati il 20 di Ottobre per avere tutto il tempo di fare la seconda analisi e confermare i dati. Tuttavia in molti avevano paura di una “fuga di notizie” che avrebbe rovinato l’effetto sorpresa e così gli scienziati thailandesi (la ricerca era portata avanti dall’esercito americano in collaborazione con un gruppo di scienziati thailandesi) hanno chiesto di anticipare la conferenza stampa al 24 Settembre. Questa data non è stata scelta a caso, si tratta infatti dell’anniversario della morte del principe Mahidol Adulyadej (padre dell’attuale re di Thailandia) che era un medico (aveva studiato ad Harvard).

Quindi una conferenza stampa fatta di corsa per non rischiare di perdere l’effetto sorpresa dove sono state date al pubblico informazioni incomplete e, in ultima analisi, sbagliate. Un bel pasticciaccio.

(fonte: Science. Via Ocasapiens)

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Riassumo rapidamente: ad agosto ho scritto all’urp del mio comune per sapere se si stessero attrezzando per farci pagare online il bollettino della TARSU (al momento il comune non accetta il pagamento dei bollettini tramite home banking, sembra un’assurdità ma pare che le Poste lo permettano), non avendo ricevuto risposta due settimane fa ho riscritto all’URP e mi hanno spiegato che avevano protocollato e inoltrato a chi di dovere la mia mail.

Qualche minuto fa mi ha scritto l’ufficio ragioneria del comune che, invece di rispondere alla mia banalissima domanda, è partito in tromba dicendo che non avevo ragione di sollecitare una risposta perché avevo posto una domanda in forma anonima (non gli ho dato i miei dati anagrafici e fiscali..), non gli risulto nell’anagrafe tributaria (embé? la TARSU la pago io, anche se non è intestata a me) e che comunque loro rispondono entro 60 gg.
Finita quest’ampia premessa su tutte le mie manchevolezze mi hanno comunicato che posso pagare la TARSU sul sito di poste italiane con carta di credito.. che è una notizia meravigliosa, ma tutto sommato non risponde alla mia domanda diretta (mi fate pagare i bollettini online?) ma risponde indirettamente alla mia sottile critica sulla analogicità (si dirà così?) del mio comune.

Conclusione: mi son cascate le palle. Ammesso e non concesso (finché non sperimento non ci credo) che sia vero che si riesce in qualche modo a pagare online, i fatti dimostrano che non è possibile avere un dialogo con il proprio comune usando strumenti da comuni mortali (l’email).

Divertiamoci un attimo a fare un paragone fra due casi isolati:

Alla Cornell University cercano una persona per fare il ricercatore in uno dei loro laboratori. La notizia che questa posizione è facilmente recuperabile on-line ed è accessibile da tutto il mondo. Dato che stiamo parlando di una università negli USA il fatto che tutto sia scritto in inglese è probabilmente una banalità, ma comunque sia permette anche a stranieri (come me) di capire i dettagli del bando e di partecipare. Se decidessi che sono adatto alla posizione (NB non lo sono, è un posto su un argomento di cui mi intendo pochissimo) tutto quello che dovrei fare per partecipare alla comparazione valutativa sarebbe scrivere il mio curriculum vitae, una lettera di accompagnamento, la lista delle mie pubblicazioni, una lettera dove descrivo in dettaglio i miei interessi scientifici e le mie esperienze in quel settore. In questo caso non c’è ma in moltissimi altri bandi che ho visto vengono anche richieste due o più lettere di presentazione. Insomma, nulla che non si possa preparare agilmente in un mezzo pomeriggio (oddio, le lettere di presentazione posso richiedere un po’ più di tempo a seconda della persona a cui la si richiede) per poi spedire tutto via e-mail.

Anche all’Università di Padova cercano una persona per fare ricerca. La notizia di questa posizione non solo non appare su nessuno dei siti internazionali più famosi (Nature Jobs, ScienceCareers, PhysicsToday ecc) ma nemmeno sul sito del miur (fate pure la prova). L’unico modo di scoprire che c’è questa possibilità è che ve lo dica qualcuno oppure che capitiate per caso sulla pagina dedicata sul sito unipd. Il tutto, a testimonianza della valenza internazionale della cosa, è rigorosamente in italiano senza nemmeno un breve riassuntino in inglese. Per partecipare un povero diavolo deve inviare (reggetevi che la lista è lunga): fotocopia del documento di identità, fotocopia del codice fiscale, domanda di partecipazione (da compilare in italiano e dove, per qualche assurdo motivo, ti chiedono anche se hai fatto o meno il servizio militare), 2 copie del curriculum vitae, 2 copie dell’elenco dei titoli (il fatto che mi son laureato, dottorato ecc sarebbe già scritto sul cv ma lasciamo perdere…), 2 copie dell’elenco delle pubblicazioni (ma al massimo 10, pena l’esclusione, sia mai di assumere qualcuno bravo), un’autocertificazione che tutto quello che ho detto è vero e, infine, un plico separato contenente la copia cartacea delle pubblicazioni (inclusa la tesi di dottorato) e dei titoli. Il tutto va compilato on-line E spedito per raccomandata con ricevuta di ritorno. Considerando che sto inviando buona parte delle infomazioni almeno tre volte su fogli diversi e che, comunque sia, il ministero già ha il mio curriculum scientifico completo e la mia lista delle pubblicazioni completa sul suo sito verrebbe da chiedersi che senso abbia fare tutto ‘sto lavoro. In più non è assolutamente possibile inviare le mie pubblicazioni in formato digitale (nè nella forma di caricarle su un loro sito nè nella forma di spedizione di un CD); a me va ancora bene che la mia tesi di dottorato è solo 103 pagine e che nel mio settore gli articoli sono tutti piuttosto brevi, ma c’è gente che lavora in settori dove scrivere saggi e/o capitoli interi di libri è prassi normale. Quanto costa stampare ed inviare il tutto? Quanta carta abbiamo usato inutilmente? Quanta fatica ho fatto per iscrivermi a questo concorso?

Insomma: qui in Italia il bando è un papiro di 18 pagine in burocratichese stretto e, per partecipare, devo spedire circa 3 kg di carta, lì nei paesi civili il bando è una mezza paginetta in lingua corrente e, per partecipare, devo inviargli una mail. Notate nessuna differenza? Qualcuno è ancora stupito che gli scienziati stranieri non vengano in Italia a lavorare?

E’ da quando ho aperto la posta e letto la mail, stamattina, che mi chiedo se è il caso di scrivere un bel coccodrillo su Paul the wine guy.
Diamine, ho scritto quello di Castagna la notte che è morto e taccio per il mio amico Paul?

In effetti è tutto il giorno che ci giro intorno: se ne parla su Friendfeed, ne abbiamo discusso con un tato triste, un .signore. è passato a informarsi dello stato di salute del nostro, un coso mi ha scritto via FB per avere dettagli (che non gli darò).

Stufa di cincischiare attorno a frasi che non ho voglia di pubblicare, analisi sociologiche degne dei baci perugina e dichiarazioni d’amore che sanno di necrofilia, mi trincero nel più classico dei classici:
Paul è morto, signori, viva Paul!

Ieri pomeriggio sono stata a Pisa, all’Internet Governance Forum Italia, perché ero relatrice nell’ultima sessione della giornata.
La prima impressione appena entrata nell’auditorium è stata “Così pochi?”. A fronte di un nutrito tavolo di relatori sedevano in sala una cinquantina di persone.
Il mio tentativo di live blogging (su Facebook qualcuno tra i miei contatti si è lamentato perché floodavo!) è qui.
Cose che mi sono rimaste:
* Vita cita il “gender divide” e non sembra convinto al 100%. Io e Flavia Marzano, che siede tra i pubblico proprio di fronte a me, ci guardiamo: io sono l’unica donna del panel e nel precedente non ce n’era nessuna.
* due cose dette da Dal Pino di Microsoft:
** la privacy dev’essere “by design”, studiata e progettata a tavolino, non sistemata in fretta e furia quando gli utenti protestano
** “io dico “bing” e voi pensate al flipper, mentre io intendo il motore di ricerca..”
* l’intervento di Consuelo Battistelli che ha parlato di diversità nella rete e di rete accessibile anche per i disabili (e io ho pensato a Wikipedia e alle idee che non abbiamo mai portato avanti)
* l’intervento di Vulpiani
* Flavia che in chiusura ha punzecchiato i politici presenti per come i politici approcciano la rete e come la rete approccia la politica (sottolineando la disparità di sforzi)
Nel mio rapido intervento ho cercato di spiegare come funziona Wikipedia, dare qualche numero, introdurre i progetti, WMF e WMI, parlare di responsabilità (dei progetti e dei contenuti), raccontare un po’ cosa succede in Italia e quali sono i problemi che affrontiamo.

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Deja-vu by

6 Ott
2009

“La legge è uguale per tutti ma non necessariamente la sua applicazione” (Niccolò Ghedini parlando davanti alla Consultain difesa del Lodo Alfano).

Aspetta. Eppure questa mi sembrava di averla già sentita. Ah già, ecco: “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri” (George Orwell ne La Fattoria degli Animali).

Leggo da Gianluigi che a qualcuno è venuta le bella idea di proporre e promuovere l’introduzione di un “Albo dei Fisici”. Prima di continuare mettiamo subito le cose in chiaro: sono iper-contrarissimo ad un’idea del genere. Mi sembra un delle idee peggiori che siano state partorite da molto tempo a questa parte (e, viste alcune uscite dei nostri politici, non è poco).

Passiamo ad una spiegazione delle motivazioni che mi spingono ad una totale ed assoluta opposizione a questa idea. Un albo professionale è essenzialmente uno strumento di controllo su chi può e chi non può esercitare una data professione. In pratica si dice che l’esserediplomati o laureati in questo o quel settore non è sufficiente per fare un certo lavoro e qualcuno si arroga il diritto di decidere chi è degno e chi no. In alcuni (pochi) casi questo ha anche un senso: se voglio offrire un servizio sanitario di qualità non posso permettere che chiunque si laurei in medicina faccia il medico e, soprattutto, non posso permettere che uno laureato in oncologia faccia il chirurgo plastico perché così guadagna di più. Ho bisogno di una stretta regolamentazione (tanto stretta che esiste il reato di “abuso della professione medica”) e la creazione di un albo può essere uno strumento per andare in questa direzione (anche se mantengo i miei dubbi che sia lo strumento migliore).

In altri casi invece c’è meno bisogno di regole ferree. Se è pur vero che non tutti i laureati in filosofia sono filosofi e che non tutti i laureati in lettere sono scrittori il bisogno di regolamentare queste discipline non è così pressante. Se anche io non sono in grado di scrivere un bel libro ma mi metto a scrivere lo stesso di danni ne faccio pochini. Al massimo renderò isterica qualche povera redattrice innocente. Stessa cosa se mi diplomo in recitazione: se sono il prossimo De Niro o uno scarpone indegno verrà deciso da chi mi farà i provini. Nessun bisogno di un albo (anche se temo che ci sia).

Esiste un altro caso in cui gli albi sono onnipresenti: quando girano i soldi. Se c’è un lavoro lucroso che gusto c’è a permettere a tutte le persone competenti di farlo? Perché non mettere su una bella organizzazione che filtri chi può e chi non può? Questo è il tipico caso dell’albo degli avvocati, dell’albo dei giornalisti e dell’albo degli ingegneri (ma ce ne sarebbero millemila altri). Vorrai mica che uno, solo perché sa scrivere ed ha uno spirito un po’ indagatore faccia il giornalista e magari venga pure pagato?

Tuttavia ancora qualcosa non quadra. Di soldi nel mondo della fisica ne girano pochini. Architetti ricchi sì, avvocati ricchi sì ingegneri ricchi pure, ma di fisici ricchi non è che se ne vedano moltissimi. E allora a che scopo voler creare un albo? Bisogno di regolamentare il settore non ce ne è molto (i fisici son comunque vada pochini e quelli scarsi raramente riescono a fare grossi danni) e non ci sono grosse fortune da spartirsi. Cui prodest? A ben cercare dei soldi su cui mettere le mani in effetti ci sono: quelli dei finanziamenti alla ricerca. Non guardate che l’Italia investe meno dell’1% del PIL in ricerca (0,9% se non ricordo male), le attrezzature scientifiche costano comunque un sacco di soldi e quell’1%, se fosse distribuito con criterio (invece che dato in mano ai baroni), permetterebbe di fare un sacco di belle cose. Tuttavia, da un po’ di tempo a questa parte pare che si stia facendo strada l’idea che una distribuzione basata sul merito sia preferibile ad una distribuzione basata sulla vicinanza e la fedeltà a questo o quel barone. Le probabilità che questa “rivoluzione” arrivi in tempi brevi è nulla (la Gelmini continua a dire in conferenza stampa che farà cose mirabolanti salvo poi non fare assolutamente nulla di quanto promesso) ma non si sa mai. Sempre bene premunirsi. E allora perché non creare un centro di potere, una corporazione in grado, per non si sa bene quali meriti, di proporsi come interlocutore privilegiato col ministero e consigliare con cognizione di causa a chi dare i soldi e a chi no? Perché mai lasciarlo fare ad una agenzia di valutazione esterna ed indipendente? Certo, queste cose non si possono dire e allora ammantiamo tutto di belle (e vuote) parole. Diciamo che lo facciamo per favorire l’incontro fra il mondo accedemico e l’industria (nobile scopo, ma la creazione di un albo non potrerebbe alcun vantaggio in questo senso). Diciamo che lo facciamo per difendere i diritti dei fisici (il mio diritto sarebbe quello di venir valutato in maniera oggettiva per la qualità della mia ricerca non quello di diventare un impiegato delle poste). Magari qualcuno ci casca…

Caro URP ti scrivo/2 by

30 Set
2009

L’11 agosto ho scritto all’URP del mio comune per sapere se si stanno attrezzando per lasciarci pagare la TARSU con l’home banking (per le Poste poter pagare i bollettini online è un’opzione che il titolare del conto può decidere di attivare o meno).
Non avendo ricevuto risposta dopo un mese e mezzo, oggi ho riscritto:

Gentili signori,
l’11 agosto vi ho mandato la mail che allego qui di seguito.
Tenuto presente che scrivete che l’URP serve a garantire ai cittadini,
tra le altre cose, il diritto ad avere una risposta chiara e precisa,
posso sapere perché non ho ricevuto alcuna risposta?

Distinti saluti,
Frieda Brioschi

In tutta onestà ero convinta che la mia mail non fosse stata letta o fosse stata dimenticata invece, nel giro di mezz’ora dall’invio del sollecito e con estrema cortesia, mi ha risposto il responsabile del servizio comunicazione, che mi ha mandato copia della mia precedente mail, stampata e bollata, per mostrarmi come fosse stata correttamente protocollata nel giro di due giorni.
Poiché non è l’URP che si occupa della TARSU, la mia richiesta è stata passata all’ufficio tributi e all’assessore al bilancio/risorse finanziare/tributi/controllo di gestione.

Che dire? Ringrazio l’URP per essere stato così efficiente e mi rimetto in attesa.

Wikimedia Italia, insieme ad altre 18 associazioni aderenti al network di Frontiere Digitali, ha firmato una lettera aperta al Parlamento Europeo che ripropongo qui:

La Neutralità della Rete è stata un catalizzatore indispensabile della concorrenza, dell’innovazione, e delle libertà fondamentali nell’ambiente digitale. Una Internet neutrale garantisce che gli utenti non debbano sottostare a condizioni che limitano l’accesso ad applicazioni e servizi. Allo stesso modo, si esclude qualsiasi discriminazione nei confronti dell’origine, della destinazione o dell’effettivo contenuto delle informazioni trasmesse attraverso la rete.
Applicando il principio della Neutralità della Rete, la nostra società ha collettivamente costruito Internet come lo conosciamo oggi. Tranne che in alcuni regimi autoritari, tutti nel mondo intero hanno accesso alla stessa Rete e anche gli imprenditori più piccoli sono in condizioni di parità con le imprese leader a livello mondiale.
Inoltre, la Neutralità della Rete stimola il circolo virtuoso di un modello di sviluppo basato sulla crescita di una comune rete di comunicazione che consente nuovi utilizzi e strumenti, a differenza di una che si basa sugli investimenti in sistemi di filtraggio e controllo. Solo in tali condizioni Internet può migliorare costantemente la nostra società, migliorando la libertà – ivi compresa la libertà di espressione e di comunicazione – permettendo mercati più efficienti e creativi.
Tuttavia, la Neutralità della Rete è ora sotto la minaccia degli operatori di telecomunicazioni e dell’industria dei contenuti che vedono opportunità di business nel discriminare, filtrare o dar priorità ad informazioni che passano attraverso la rete. In tutta Europa, questo tipo di pratiche discriminatorie, dannose per i consumatori e l’innovazione, sta emergendo. Nessun giudice e nessuna autorità regolatoria sembrano avere strumenti adeguati per contrastare questi comportamenti e proteggere l’interesse generale. Alcune disposizioni introdotte nel Pacchetto Telecom possono perfino incoraggiare tali pratiche.
Lunedi 28 settembre alle 19.30, la Commissione di Conciliazione avrà il suo primo incontro, dove verrà tracciata la traiettoria della terza ed ultima lettura relativamente al Telecom Package.
Noi che abbiamo firmato con una larga coalizione questa lettera aperta sollecitiamo il Parlamento Europeo a proteggere la libertà di ricevere e distribuire i contenuti, e di utilizzare servizi e applicazioni, senza interferenze da parte di attori privati.
La premessa di base per la Neutralità della Rete è che Internet è un’infrastruttura. Chiarito questo, appare ovvio che i provider non debbano disabilitare od ostacolare l’accesso alle pagine web, a servizi o protocolli senza la decisione di un magistrato.
Se una società è provider di servizi Internet e compagnia telefonica, non dovrebbe poter bloccare il servizio voce e chat di Skype al fine di costringere i clienti ad usare il suo servizio di telefonia.
Ci appelliamo ai membri del Parlamento affinché agiscano con decisione nel corso del negoziato in corso sul Pacchetto Telecom, al fine di garantire un Internet libero, aperto e innovativo, e per salvaguardare le libertà fondamentali dei cittadini europei.

Firmato

Artisopensource
Associazione UnaRete
Associazione Il Secolo Della Rete
Associazione Net-Left
Associazione Liber Liber
Associazione Linux Club Italia
Associazione Partito Pirata
Associazione Wikimedia Italia
Collettivo iQuindici
Computerlaw.it – Informatica e Diritto
Flyer Communication
Free Hardware Foundation
ISOTYPE, comunica la qualità
Istituto per le politiche dell’innovazione
Liberius
Movimento Scambio Etico
Roma Europa Fake Factory
Unione degli Studenti (U.d.S.)
Amici di Beppe Grillo di Roma

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