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Siamo a meno di 24 ore dall’inizio dei giochi olimpici. Nelle ultime settimane siamo stati (come era del resto prevedibile) bombardati da notizie shock su casi di atleti trovati positivi a questa o quella sostanza.
Da un lato chi organizza una competizione sportiva ha il diritto/dovere di proteggersi da atleti “disonesti” che pompano le proprie prestazioni non tanto con l’allenamento e le doti innate (che pure molti hanno) ma con metodi “artificiali”. È un fattore di onestà intellettuale verso chi, invece, basa tutto sul sudore della propria fronte.
Dall’altro lato si può obiettare che chi è senza peccato scagli la prima pietra. Il confine fra un aiutino innocente ed il doping è spesso labile: io stesso prendo una media di 2 caffè al giorno per stare sveglio. Un mio compagno all’università era solito, nei periodi di esame, di assumere ogni giorno una fialetta di ginseng per riuscire a studiare più a lungo. Alcuni miei compagni di palestra per un certo periodo assumevano guaranà . E nessuno di noi si è mai sentito un drogato. Da prendere molta caffeina per stare svegli ad assumere degli integratori alimentari a prendere “qualcosa” che migliori le nostre prestazioni il passo è breve. Soprattutto se non siamo consapevoli degli effetti collaterali.
Per la cronaca: assumere molta caffeina è considerato doping.
A rendere più complicata (e quindi più interessante) la faccenda arrivano un paio di articoli pubblicati, rispettivamente, su Science e su Nature.
Nel primo, dal titolo “Does doping work?“, Martin Enserink ci fa notare come ci sia poca o nessuna ricerca scientifica seria sulla reale efficacia di molte sostanze dopanti. La stessa eritropoietina (meglio nota come EPO), sostanza molto usata per “dopare” gli atleti degli sport di fondo, è stata oggetto di soli 4 studi dove si testassero le sue reali capacità di migliorare le prestazioni sportive (e, credetemi sulla parola, 4 sono pochi). Trale altre cose il risultato di questi studi è stato che effettivamente l’EPO aumenta la concentrazione di ossigeno nel sangue (e quindi aumenta le prestazioni fisiche) ma solo per tempi piuttosto brevi
Insomma, un ciclista o un fondista prendono l’EPO (con tutti i rischi che questo comporta per la salute e col rischio di essere beccati al test antidoping) per migliorare le proprie prestazioni e questo effetto dura solo per un tempo breve, molto più breve della durata media della loro gara. Alla fine hanno solo rischi e controindicazioni senza alcun vantaggio reale.
Sento già il coro di voci che si solleva: “Ma cosa dici? L’EPO funziona eccome. I medici lo sanno. Io lo so. E poi, se non funzionasse, perché sarebbe nella lista delle sostanze vietate?”. Ecco, io non sono un medico e nemmeno un biochimico, però se Science mi dice che ci sono stati solo 4 studi io, fino a prova contraria, ci credo. E 4 studi vuol dire poca o nessuna evidenza scientifica. Se poi quella poca dice che l’EPO non serve a niente allora magari due domandine sulla sua reale efficacia inizio a pormele. La questione della lista delle sostanze vietate poi ha una semplice spiegazione: se è vero che in molti guardano questa lista come una fonte attendibile sulle sostanze dopanti (“se è lì allora vuol dire che aumenta le mie prestazioni”) è altrettanto vero che per gran parte delle sostanze ivi contenutesi si sa bene che non hanno alcun effetto benefico (e se ne conoscono bene gli effetti negativi). Però non le si può togliere perché toglierle avrebbe l’effetto psicologico che, siccome non sono vietate, allora è lecito farne uso. E quindi restano dove sono e centinaia di atleti continua a prenderle, danneggiando gravemente il proprio organismo, senza ottenere alcun beneficio. Ha dell’ironico se ci pensate…
Nel secondo articolo (“The science of doping“) Donald A. Berry sottolinea come i test antidoping siano procedimenti lunghi e complicati. In queste condizioni è al limite dell’impossibile poter dire con certezza matematicase tizio, caio o sempronio hanno fatto uso di sostanze dopanti o banalmente quei valori siano assolutamente normali nel loro organismo (che un atleta olimpionico abbia delle analisi del sangue diverse dalle mie non mi stupisce più di tanto). Il meglio che si può fare è dare una significatività del test in senso statistico. Questo comporta che non ci si possa mai affidare ad un solo test o ad un solo campione di sangue/urina; è necessario compiere test diversi ed indipendenti per raggiungere una ragionevole certezza. Ricordiamoci che alla fine essere trovato positivo ad un test antidoping può voler dire la fine della propria carriera per un atleta.
Questo, in teoria, viene fatto. Berry però ci parla delcaso di Floyd Landis (che io, non seguendo il ciclismo, non conoscevo), trovato colpevole di aver assunto del testosterone sintetico durante il Tour de France 2006. Berry mette sotto accusa sia le procedure statistiche utilizzate per analizzare i risultati dei vari test che il metodo usato per discriminare fra risultati positivi e negativi nei vari test (metodo che non è stato reso pubblico ma che, invariabilmente, comporta un certo grado di arbitrarietà e quindi necessita una giustificazione esplicita). I dettagli di queste accuse sono un po’ tecnici e non posso dire di aver capito (o di essere in grado di giudicare) tutti i suoi punti. Però è interessante che una persona che di questi test si occupa in modo professionale sollevi questi dubbi. Sono curioso di leggere le risposte che arriveranno nelle prossime settimane alla posta di Nature.
1 Response to Doping
.mau.
Agosto 7th, 2008 at 11:50
non per nulla ultimamente non usano EPO ma CERA, che serve appunto a far produrre all’organismo stesso la EPO.