i soldi dei dottorandi by

5 Ago
2008

Antefatto: a fine 2007 è passato un emendamento che decretava un aumento dello stipendio dei dottorandi dagli 800 euro circa (la cifra esatta varia da ateneo ad ateneo ma io prendevo 814 euro al mese) ad una cifra vicina ai 1200 euro (vedi).

Tutto bene? Tutto fantastico? Dobbiamo tirare un sospiro di sollievo ed inneggiare a chi, finalmente, ha fatto qualcosa di giusto e condivisibile? Magari mi attirerò gli strali di molti ma a me non pare ‘sta gran genialata aver fatto questo emendamento.

Premetto subito che non sono più un dottorando (anche se lo sono stato fino a pochi mesi fa) e che conosco per esperienza diretta solo le facoltà scientifiche dell’ateneo fiorentino. Immagino che molti dei miei ragionamenti non possano essere aplicati così come sono ad altri atenei ed altre facoltà. Tuttavia penso che si possano fare alcune considerazioni abbastanza generali.

Intanto sgombriamo il campo da possibili equivoci: almeno per le facoltà scientifiche i posti di dottorato non mancano. Anzi, ce ne sono così tanti che spesso non si trovano abbastanza iscritti ai concorsi per coprire tutti i posti. Il numero di borse (ovvero di posti dove ti danno uno stipendio) è più limitato ma comunque non è difficilissimo reperire un qualche finanziamento o un posto con borsa in un dottorato di argomento affine al proprio. Insomma, io non ho mai visto nessuno che volesse fare un dottorato e che non ci sia riuscito. Anche gente non particolarmente brillante. Anche gente non troppo interessata a fare ricerca.

In fisica poi il rapporto fra laureati  e dottorati all’anno è pazzesco. Qui a Firenze negli ultimi anni c’è stato un tale calo delle iscrizioni che oramai non si supera le 20 matricole all’anno. Di queste solo una decina arriva a laurearsi (quando mi sono iscritto io eravamo 90 matricole e ci siamo laurati in non più di 20) per trovarsi davanti a 8 posti con borsa per il dottorato in fisica, 3 posti con borsa del dottorato del LENS, un paio di posti con borsa del dottorato in scienze dei materiali e un paio di posti con borsa del dottorato in sistemi complessi. A questi si aggiungono i dottorati dell’INFN (che però sono a carattere nazionale) ed altri dottorati “minori” che magari non hanno sede proprio a Firenze ma in comuni limitrofi.

Considerando che chi si iscrive al dottorato la qualifica di dottore di ricerca la ottiene in maniera praticamente automatica (anche se non ha pubblicazioni, anche se ha fatto una tesi di qualità scadente) siamo all’assurdo che ci sono quasi più dottorati che laureati ogni anno.

Fin qui nulla di troppo deleterio. Alla fin della fiera in ambito scientifico (come in matematica, fisica, chimica, biologia ecc) avere un dottorato non fa mai male. Chi esce dal dottorato avrà una conoscenza superiore a quella di un laureato, avrà imparato a gestire un ramo di ricerca in maniera semi-indipendente e, se tutto va bene, avrà iniziato a farsi un nome nell’ambiente.

Il vero problema è che il passo successivo, se si vuole continuare nell’ambito della ricerca, sarebbe quello di diventare ricercatore (passo che può essere mediato da qualche anno come assegnista di ricerca). E qui casca l’asino. Infatti di soldi per pagare gli assegni di ricerca non ce ne sono. Del mio anno ci sono state otto persone che sono entrate al dottorato in fisica, tutte si sono dottorate e solo in due siamo riusciti ad avere un assegno (ed uno dei due l’assegno se lo è trovato a Parigi, qualcuno si ricorda della famosa “fuga dei cervelli”?). Gli altri hanno dovuto, volenti o nolenti, abbandonare la ricerca universitaria.

Ancora se la selezione dell’unico assegno di ricerca che è stato trovato (e che, per la cronaca, ho preso io) fosse stato fatto su fondamenti squisitamente meritocratici uno se ne potrebbe fare una ragione. Il vero problema è che io l’assegno l’ho avuto perché il mio relatore di dottorato è riuscito a trovare i soldi, non perché fossi il più bravo. Altre persone (che non faccio fatica a riconoscere più brillanti di me) hanno ricevuto una solenne stretta di mano e basta.

Entrare come ricercatore poi è così improbabile da essere quasi esilarante. I posti di ricercatore sono banditi a livello nazionale dal ministero che decide sia l’argomento che l’ateneo a cui i posti sono associati. Il problema è che in Italia i posti non vengono banditi perché non ci sono i soldi e anche quando i bandi vengono fatti ed i posti assegnati il tutto resta lettera morta perché le facoltà non riescono a reperire i fondi per pagare gli stipendi.

Alla fine l’effetto dell’aumento di stipendio ai dottorandi (aumento che non si sa bene quando avverrà dato che i soldi non ci sono) è quello di incentivare i laureati ad intraprendere la carriera accademica (dandogli uno stipendio pari a quello dei ricercatori) senza però fornirgli alcun tipo di prospettiva a medio e lungo termine. In pratica lo scopo sembra essere quello di aumentare il numero dei dottorandi (che nelle statistiche figura sempre bene) e poi di farli emigrare appena prendono la qualifica di dottori di ricerca.

Come effetto collaterale pare che (a titolo di esempio) l’università di Firenze non bandirà alcun posto di dottorato nel 2009 perché non ha i soldi per pagarli.

Ma aumentare gli stipendi dei dottorandi (con i fondi, già più che traballanti, degli atenei) fa più scena che organizzare una seria riforma del finanziamento alla ricerca e dell’università che introduca un filo di meritocrazia (dove per “merito” si intende saper fare le cose, non stare simpatici a qualcuno in alto).

6 Responses to i soldi dei dottorandi

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ML

Agosto 5th, 2008 at 14:42

Da assegnista, condivido in pieno questo post.

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klauss

Agosto 11th, 2008 at 15:23

Quando ho sentito che la finanziaria conteneva una norma per l’aumento delle borse di dottorato ho esclamato: Finalmente!

Vivere con circa E 800,- è difficile. E’ molto difficile fare il dottorato “fuori sede”: in una città dove non si hanno familiari, amici e parenti; dove si devono spendere più di E 400,- per una stanza singola (a circa 30 anni si vorrebbe anche un po’ di riservatezza e non dormire in stanze doppie o triple). Ritengo che l’aumento delle borse (secondo un mio conto a spanne dovrebbe essere di circa E 150,-), dovrebbe essere applaudito senza riserve.

Riguardo alla funzione del dottorato vorrei spendere alcune parole. Essere un dottorando significa fare un percorso formativo per diventare ricercatore. Il titolo può essere usato per lavorare nelle università, nei centri di ricerca e anche in aziende che abbiano una divisione R&D (in Italia ce ne sono poche, ma esistono). Il dottorato non deve essere un parcheggio dopo la laurea, un modo per continuare a fare la vita da studente facendo anche qualcosa che piace. Chi decide di fare il dottorato, ha intenzione di essere un ricercatore. E personalmente ritengo che essere un ricercatore non sia come lavorare alle poste o in comune. Essere ricercatore richiede passione, attenzione, dedizione e devozione, curiosità, innovazione e voglia di spostarsi. Non è più valida la sequenza: laurea, dottorato, postdoc e concorso nella stessa struttura, sempre con la stessa affiliazione.

Riguardo alla decisione dell’università fiorentina mi sembra che sia una decisione eclatante con lo scopo di far notizia e non focalizzare l’attenzione sul vero problema: in Italia si spende troppo e finché le amministrazioni non sono messe con le spalle al muro nessuno si assumerà la responsabilità di riformare alcunché e ridurre gli sprechi. Cito S. Romano: “Ridurre il bilancio di un’amministrazione può essere, paradossalmente, il miglior modo per renderla più efficiente”. Sono d’accordo. La decisione di unifi è, secondo me, un iniquo pianto recriminatorio e autoconsolatorio che non risolve nulla e non risponde ad una domanda: chi resterà in laboratorio a fare ricerca dopo che i nuovi-ricchi-da-mille-euro-al-mese si saranno dottorati?

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J B

Agosto 11th, 2008 at 16:06

@klauss: anche il mio primo pensiero è stato “finalmente!”. Il mio secondo pensiero è stato “ma non lo potevano fare l’anno scorso?”. Purtroppo il mio terzo pensiero è stato “vuoi vedere che è l’ennesimo specchietto per le allodole?” (infatti dopo poco è venuto fuori che avevano decretato un aumento delle borse di dottorato senza alcuna copertura finanziaria).

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mikimoki

Settembre 6th, 2008 at 13:53

condivido i post precedenti e ringrazio klauss..

non sono dottoranda ma con l’università di Napoli e Roma e gli istituti di ricerca nazionali ci lavoro…
la realtà che ho conosciuto è un pò diversa da quella che descrivete… nel senso che il professore universitario con cui collaboriamo, ha diversi ricercatori giovani..come fa? i soldi se li trova.. come?
Partecipando a bandi europei e stringendo partnership con piccole società private che finanziano alcuni progetti perchè magari poi interessate ad utilizzarli.
Non sto parlando di un professore famoso o un rettore, ma di un professionista in gamba che vuole continuare a fare il proprio lavoro di ricercatore nonostante i pochi fondi universitari..e si preoccupa per fare questo di poter pagare i propri ricercatori.
Quindi 2 anni di collaborazione e partnership con questo gruppo di lavoro … pagato decentemente.. diversi progetti all’attivo, e per quanto mi riguarda parlo dal punto di vista della società privata che collabora… finalmente la possibilità una volta terminato il progetto di poter utilizzare (con un preventivo lavoro di contestualizzazione dello strumento) le idee ed i progetti di ricerca che spesso rimangono invece sepolti nei menadri degli atenei..
Con questo volevo dire che.. invece di aspettare solo i fondi nazional-statali qualcosa si può fare attivando le risorse europee e soprattutto quelle di ricercatore “di risorse”!!!

Per quanto riguarda la fuga dei cervelli mi sembra che nel mondo della ricerca non ci sia niente di più appropriato dello “scambio di cervelli”… il problema cioè non è che i cervelli italiani vanno, piuttosto preoccupante è il fatto che nessun cervello estero viene.. e questo a causa della poca attrattiva dovuta al problema degi stipendi etc…
Noi andiamo a “contaminare” le conoscenze e le intelligenze degli altri..ma pochi vengono a portare “virus” relativi alla conoscenza a noi…

W la ricerca!!!

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J B

Settembre 9th, 2008 at 08:53

@ mikimoki: per la cronaca io sono discretamente giovane, faccio ricerca e sono pagato con fondi europei. Il problema è che, sebbene io faccia indubbiamente ricerca, NON sono un ricercatore. In Italia la qualifica di “ricercatore” te la danno se e solo se hai vinto un concorso bandito dal ministero a livello nazionale. Puoi fare ricerca tutta la vita senza essere un ricercatore. La differenza è che a me possono chiamarmi domani e dirmi “scusa, i fondi per il tuo assegno sono finiti. Da domani non ti paghiamo più” mentre un ricercatore è una persona a stipendio, se non fisso, almeno non precario. Scusa se è poco…

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Pierre

Settembre 4th, 2009 at 17:27

Fa circa un anno dopo l’ultimo commento pero fa niente… 🙂

Io non sono italiano e non ho studiato o lavorato (ancora) in Italia, ho avuto il mio PhD in Francia. Pero devo dire che non condivido l’affirmazione “fai una tesi per essere ricercatore”. Questo è nella mente di tutti ma non mi sembra che sia il buon modo di vedere la cosa.
Avevo un direttore di master che parlave di formazione “a base” di ricerca (aveva una formulazione che rende di piu in francese :-)). Nel senso che una tesi NON DOVREBBE essere una cosa solo “per essere” ricercatore. E solo cosi che si spiega l’aumento delle condizione favorevole per fare una tesi, ed è cosi che dovrebbe essere…

Allora il problema è che a parte dare piu borse e melgio pagate, non c’è niente di fatto per valorizzare il diploma di tesi e farlo conoscere meglio delle aziende. Ma una formazione di ricerca offre qualita che possono essere sfruttate altrementi che in un’universita o in R&D (e o esempi di ex-colleghi di tesi che fanno delle cose diverse adesso con molto successo). Questo richiede da parte delle aziende di provare a prendre delle persone con la mente flessibile e capace di apprendere e formare queste persone al lavoro… Una cosa che non sono disposte a fare 😉 Si fa di piu in paesi del nord, o in paesi anglo-sassoni, non automaticamente ma meglio.

E cosi in Francia al meno, tutti parlano di “societa della conoscienza” e come le formazione per la ricerca potrebbero aiutare a svilupare questo concetto nella societa, pero… Alla fine le aziende devono assorbire questi cervelli…

A parte questo io non ho visto tante tesi di qualite veramente bassissima, e mi sembra che la selezione si fa tra l’entrata a l’universita e l’attribuzione delle borse di tesi (che non sonno automatiche in Francia, ma forse è diverso in Italia…?).
Ma è verissimo che tanti dottorati italiani vanno a l’estero, sono convinti che in Italia non è possibile, tanti vengono in Francia !

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