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Sono un programmatore, e come gran parte dei programmatori ho due problemi: pigrizia e sovrappeso.
Ho dato una svolta a quest’andazzo: da circa un anno ho incominciato a correre un’oretta al giorno.
Niente di che, roba da essere doppiato da un chihuahua con la labirintite e la cataratta.
I nerd, si sa, si appassionano facilmente a piccoli microcosmi zeppi di dettagli: mi sono preso un orologio GPS con la promessa di imparare qualcosa sulle API di Google Maps. Ho creato quindi un semplice software che prende i dati della mia corsa, li elabora e li pubblica, sparandoli via feed a tutti i social network a cui sono iscritto.
Fin qui tutto bene.
Faccio la mia corsetta e zac, dopo pochi minuti tutti i miei amici sanno che ho fatto il mio dovere e che non ho poltrito davanti al PC. Â Una sorta di patto digitale per garantirsi la costanza e promettere impegno.
Tra i social network a cui sono iscritto ovviamente c’è il giardino recintato di Facebook, dove sono presenti tutti i miei amici, i colleghi, gli amici degli amici o semplici conoscenti del mio paese o del quartiere – il luogo virtuale meno tecnico e più vicino alla vita quotidiana.
Bene, da quando il mio orologio comunica via Facebook ogni mio percorso, beh, la gente che incontro mi chiede di fisso “Come va la corsa?â€. “Ah, vedo che corri, bravoâ€. “Ma davvero corri così tanto?â€.
E stop.
Insomma, per loro sembra che io non faccia altro nella vita.
E’ come se per loro non lavorassi, o non avessi una prole da crescere, se non guardassi mai un film o un programma interessante. Io per loro corro, corro e corro, manco fossi Baldini o Gebrselassie.
Un’ora di corsa su 24 non è molto.
Guardare un film o leggere un libro impegna molto di più, ma non credo che un feed di Anobii procuri così tante curiosità .
Ora, io non so: non vado a pensare che la tal impiegata dello studio paghe sia una contadina provetta perché si ammazza di fatica virtuale su Farmville da mane a sera. E quando incontro un amico che passa ore e ore a scavare su Treasure Isle non lo apostrofo “Ehi, Indy!â€.
Le faccende virtuali rimangono giustamente virtuali (sarei curioso di sentire un discorso tra Habbos  sul pullman), ma le cose reali (come ad esempio una corsa)  su un lifestream finiscono per deformare la realtà .
E non so come uscirne. Chiederò loro come vanno le coltivazioni di patate e cipolle, non vedo alternative.
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1 Response to Quando il lifestream è più importante della vita reale
GDG
Agosto 28th, 2010 at 01:20
Questa si chiama alienazione e non puoi uscirne, mi dispiace. Ma rabbrividisco leggendo il tuo scritto: è decisamente più avvilente di un testo letto tempo fa, nel quale una programmatrice descriveva la sua esistenza attraverso una prospettiva Scrum. Del resto l’organizzazione della produzione altera le relazioni sociali, pertanto modifica le percezioni degli individui che perdono così la capacità distinguere tra la produzione e l’esistere. In questo modo non sono più consapevoli del loro ruolo nel contesto dei rapporti di produzione mentre l’identificazione totale nei confronti del proprio lavoro, li conduce a smarrire la consapevolezza dei propri interessi, come classe dico, e come individui. Da qui la perdita di diritti, i contratti farlocchi e tutto il resto. Nella migliore delle ipotesi si ingrassa (e in alcune circostanze ci si concede una corsetta), in altre invece si fatica a pagare il mutuo. Magari si ingrassa e si fatica a pagare il mutuo, ma la parola “sindacato” evoca un’apocalisse comunista e un cellulare Android non manca mai, quello no. Con tutto il rispetto, ma nonostante quasi vent’anni di C++ alle spalle, non sono ingrassato e se vado a farmi una corsetta al parco, risparmio di comunicarlo alla cristianità : del resto son certo che hai miei amici non gliene potrebbe fregare di meno. Anzi potrebbero pensare che son diventato matto. Ma si sa: quelli della mia età sono tutti fuori moda. Auguri, auguri di cuore.