Trova l’errore by

9 Set
2009

In una recente intervista per La Stampa il rettore del Politecnico di Milano ha affermato che: “Ogni Università investe minimo tre anni nella formazione di un giovane ricercatore, e non trovo logico, poi, che questo venga assunto in altri atenei“.

A me la frase non è piaciuta e agli amici dell’APRI addirittura ha fatto alzare i capelli in testa. Tuttavia immagino che chi non vive all’interno dell’università italiana potrebbe anche non trovarci nulla di male. Alla fine la frase suona logica e persino la giornalista non ha fatto una piega al riguardo. E allora cosa c’è di così scandaloso? Alla fin fine il rettore non ha ragione? Se ho una persona brava che si laurea da ma, si dottora da me, che lavora, cha ha risultati ecc perché dovrei farmela scappare? Non sarebbe più logico tenermela invece che farla andare da un’altra parte proprio nel momento in cui, plausibilmente, la sua produttività scientifica è al top? Dov’è il problema?

Detta così sembrerebbe che tutto andasse bene ma c’è un errore di fondo molto grave di cui il sig. rettore manco sembra accorgersi. Un errore che oramai è così profondamente radicato nell’università italiana che non ci accorgiamo più che c’è. Per capirci prendiamo l’esempio di un modello anglosassone idealizzato (Inghilterra, USA ecc non sono il paese del bengodi e i problemi esistono anche lì, seppur in misura minore che da noi): io, alla fine delle scuole superiori, ho deciso che mi piacerebbe studiare gingillometria applicata, cerco un po’ a giro e scopro che nello sperduto Kadath c’è un’università rinomata per la gingillometria. Ora, lo sperduto Kadath è lontano da casa mia ed io non ho tanti soldi a disposizione, però sono bravo e ricevo un prestito dallo stato ed una borsa di studio dall’università per permettermi di studiare. Finché continuerò ad essere bravo potrò continuare a studiare senza rischiare di morire di fame. Non sarà una vita da nababbi ma meglio di niente. Finita l’università decido che voglio rimanere nel mondo accademico e mi faccio anche un dottorato in gingillometria (per semplicità assumiamo che io lo faccia sempre nello sperduto Kadath). Finito il dottorato sono un promettente gingillometrista ed il mio supervisore è estremamente contento di me. Certamente per me è possibile restare nello sperduto Kadath dove già conosco tutti e dove il mio supervisore magari riuscirà anche a trovarmi un posto ragionevolmente pagato, tuttavia (siccome sono bravo) ho anche la possibilità di andare a fare il gingillometrista alla Miskatonic University dove ci sarebbe un gruppo di ricerca in gingillometria dove fanno cose un po’ diverse dalle mie ma interessanti. In questo mondo ideale il mio supervisore non pigerà troppo per tenermi con sè. Alla fin fine cambiare gruppo di ricerca mi permetterà di ampliare i miei orizzonti e diventare un gingillometrista migliore. D’altra parte per il mio supervisore perdere me non è così terribile perché (e qui sta il nodo fondamentale quindi prestate attenzione) c’è giusto un altro giovane brillante che ha studiato gingillometria a Dunwich che potrebbe prendere il mio posto portando una ventata di idee nuove e di competenze che prima nel gruppo non c’erano. Insomma, è un gioco dove vincono tutti: vinco io perché vado a lavorare in un bel posto dove si studiano cose interessanti, vince il mio supervisore perché otterrà (essenzialmente a gratis) idee e competenze nuove per il suo gruppo e vince lo studente di Dunwich perché va a lavorare nel bellissimo (per quanto sperduto) Kadath.

Notata la differenza fra questa storiella immaginaria e quello che dice il rettore del Politecnico? Nel sistema Italia non c’è alcun incentivo allo spostamento: io non me ne posso andare in un’altra università italiana perché l’unico modo di entrare è tramite un concorso, che però è truccato in modo da far vincere il candidato locale. Il capo di un gruppo di ricerca non può far venire gente da fuori (se non con contrattini che i Co.Co.Co. al paragone sono oro) perché, per farlo, devono far bandire un concorso e truccarlo a favore della persona che vorrebbero assumere. Anche un gruppo di ricerca che abbia appena ricevuto un fantastiliardo di dollari per proseguire le sue attività non può assumere un ricercatore e, colmo dei colmi, non può nemmeno assumere una persona a progetto pagandola una cifra alta dato che gli assegni di ricerca hanno tutti più o meno lo stesso importo. D’altro canto se tu non mi puoi offrire nulla di meglio di quello che già ho nell’università vicino a casa chi me lo fa fare di andarmene e perdere tutti i miei agganci ed il posto in coda per essere io un giorno il “candidato locale” a favore del quale il concorso verrà truccato? Va bene essere eroici ma anche da queste parti teniamo famiglia.

Insomma: Giulio Ballo dice esplicitamente che è inutile cercare di instaurare un circolo virtuoso dove idee e competenze girino, è inutile cercare di creare un sistema dove una persona capace e preparata possa utilizzare le sue competenze in maniera efficiente. Insomma, è inutile che pensiate di andare da un’altra parte. Qui siete a casa e c’è qualcuno che si prende cura di voi e che penserà al vostro futuro. Voi siategli imperituritamente fedeli e vedrete che, un giorno, avrete anche voi la vostra fetta di torta.

Con tutto il rispetto signor rettore, non lo vede l’errore nel suo ragionamento?

7 Responses to Trova l’errore

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Cruccone

Settembre 9th, 2009 at 15:36

Quando ero al Poli ti inculcavano sin dal primo giorno l’idea che una formazione migliore non te la potessero fornire altrove, quindi con questa logica non ha senso assumere qualcuno da fuori e se i nostri buoni ce li fregano a noi cosa rimane…

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J B

Settembre 10th, 2009 at 10:37

Ad Harvard, al Clatech, al MIT, a Cambridge ecc ecc sono (giustamente) fieri della qualità del loro insegnamento. È’ cosa comune considerare chi esce da una di queste università (a maggior ragione chi ci si dottora) con un certo rispetto. Tuttavia la mentalità che prevale è del tipo “Tizio è bravissimo e si è dottorato nel mio gruppo di ricerca al MIT. A poche settimane dalla discussione del della tesi ha già ricevuto una valanga di proposte per un post-doc dalle migliori università del mondo e pure qualche offerta di lavoro nell’industria. Io, se accetta quel posto ad Harvard, sono contento perché il suo successo nel mondo aumenterà il prestigio della mia università e del mio gruppo. In più sono contento anche (più pragmaticamente) perché avere un mio ex dottorando che va a lavorare ad Harvard vuol dire che io avrò ottime possibilità di instaurare proficue collaborazioni con loro”.

Da noi invece anche università e dipartimenti che poco avrebbero di cui vantarsi si ritengono una spanna sopra il resto del mondo e rifuggono il confronto incentivando le persone a non muoversi da dove sono. Anche l’ipotesi di ottenere agganci per collaborazioni scientifiche in moltissimi casi non sembra avere grande presa (sarà per la scarsa qualità della ricerca che viene fatta in moltissimi posti?).

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Nemo

Settembre 10th, 2009 at 21:15

Tutto giusto, ma la cosa che mi ha fatto scoppiare a ridere della frase di Ballio è quell’«investe minimo tre anni»: li /sfrutta/ minimo tre anni…

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Claudio

Novembre 23rd, 2009 at 20:01

Mi dispiace contraddirti ma il senso dell’articolo era molto diverso ed è stato frainteso! Premetto che sto rispondendo dopo essermi letto una seconda volta la notizia uscita qualche settimana fa sulla Stampa. Il problema su cui il rettore pone l’accento non è tanto la migrazione verso altre università italiane, ma sul pericolo che una classe di futuri dirigenti o comunque persone altamente qualificate migrino all’estero andando così a “regalare” le loro competenze ai paesi esteri.
Io sono il primo a voler andare all’estero, una volta finiti i miei studi; tuttavia non posso che condividere il parere di Ballo. è facile parlare dell’inghilterra e degli stati uniti (paesi in cui l’istruzione non è pubblica e costa cara) dimenticando che secondo le ultime stime del sole 24ore lo stato italiano investe per ogni studente durante il suo percorso di studi circa 100000!!! Non so se saresti contento se ad esempio ti costruissi una moto con tutti i pezzi più competitivi e una volta finita scoprissi che con quella moto ci gareggerà il tuo rivale…
In conclusione condivido in pieno il parere del rettore

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J B

Novembre 24th, 2009 at 09:37

@Claudio: premesso che negli USA e in Inghilterra (ma anche in Canada, Germania, Olanda, Danimarca ecc) è vero che l’università costa cara ma c’è un forte sistema di borse di studio per i meritevoli che agevola non poco chi è bravo ma non ha soldi (ad Harvard se sei bravo non solo paghi l’università meno che in Italia ma ti danno pure un alloggio) mi pare che tu veda il mondo della ricerca universitaria un po’ alla rovescia.
Per usare il tuo esempio: se tu costruisci una moto con i pezzi più competitivi ma poi dici al pilota che la potrà usare solo nelle notti di plenilunio, che gli è vietato superare i 50 km/h e che, comunque vada e per quanto lui possa essere bravo, fra due-tre anni lo lascerai senza lavoro non è che tu ti possa lamentare se lui prende e va con la sua moto da un’altra scuderia.
Tra l’altro a me ‘sta storia del “regalare le mie competenze” ai paesi esteri (che, detta così, sembra quasi un atto di alto tradimento) suona un po’ un’idiozia. La mia università non è che funzionasse benissimo: praticamente non avevamo laboratori, le aule erano vecchie ed i materiali didattici inesistenti. In più è stata governata da un rettore incapace e (plausibilmente) corrotto che l’ha portata sull’orlo del fallimento. Se io (col sudore della mia fronte, non graze ad un’illuminazione divina) sono riuscito a raggiungere certe competenze ed a farmi un curriculum degno di nota per quale oscuro motivo non dovrei essere libero di decidere dove andare? Perché devo essere io a farmi carico dell’incapacità dei rettori di attirare ricercatori dall’estero?

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giovanni

Gennaio 29th, 2010 at 14:37

siamo proprio sicuri che l’intervista sia del Rettore del Politecnico di Milano e non del Rettore Poli Torino, Prof. Francesco Profumo? Quasi sempre “La Stampa” scrive Politecnico e intende Politecnico di Torino.

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J B

Gennaio 29th, 2010 at 17:34

@giovanni: se guardi l’articolo (il .tif è linkato ad inizio post) dicono “Il rettore del politecnico di Milano”.

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