Darwinismo quantistico by

13 Mar
2009

N.B. Questo stesso identico post appare anche sull’ottimo Progetto Galileo ma a nome “Clodovendro” invece che “J B”. Nessun plagio, sono sempre io. Solo con un nickname diverso.

Mediamente i fisici non sono troppo interessati alla teoria dell’evoluzione. Le leggi della fisica (per quanto ne sappiamo) sono rimaste sempre quelle dall’inizio dei tempi e l’universo “evolve” seguendo fedelmente queste leggi. Anzi, per un fisico la riproducibilità è un punto cardine della ricerca scientifica: se io metto mille volte questo elettrone in queste condizioni lui si comporterà mille volte nello stesso modo. Certo, dall’avvento della meccanica quantistica ad oggi il determinismo è stato abbandonato in favore di previsioni di tipo probabilistico, ma il concetto di fondo è rimasto lo stesso e non lascia molto spazio ai meccanismi di selezione tanto cari ai biologi. Tuttavia difficilmente le buone idee non trovano applicazione un po’ ovunque e persino nella meccanica quantistica, se uno guarda per bene, le intuizioni di Darwin trovano una loro collocazione.

Gli ingredienti fondamentali di una teoria Darwiniana dell’evoluzione sono: qualcosa che sia in grado di produrre copie di se stesso (simili ma non identiche l’una all’altra), una competizione per una qualche forma di risorsa ed un meccanismo di selezione che permetta solo ai più “adatti” di riprodursi. Wojciech H. Zurek (ricercatore a Los Alamos) ha trovato che, con gli opportuni adattamenti, questi ingredienti li si trova dove meno uno se li aspetterebbe: nella teoria della misura quantistica.

Andiamo per gradi: la meccanica quantistica è una teoria, sviluppata da un gran numero di scienziati a partire dagli inizi del XX secolo, che descrive il comportamento dei corpi “molto piccoli”. Caratteristica fondamentale di questi “corpi molto piccoli” è che, quando uno li va ad osservare, vede che si comportano in maniera totalmente diversa da quella che è l’intuizione di tutti i giorni. Se io lascio cadere un sasso l’esperienza mi dice che questo cadrà con velocità e traiettoria ben definite e predicibili. Un elettrone invece non cadrà seguendo una traiettoria ben definita ma si troverà in una “sovrapposizione” di tutte le traiettorie possibili. Cosa ancora più strana, quando andrò a misurare la posizione di questo elettrone non lo troverò mai in questo stato di “sovrapposizione” ma lo misurerò sempre con una posizione ben definita. Quello che succede è che, lasciato a se stesso, l’elettrone seguirà il principio di sovrapposizione e si troverà contemporaneamente in tutti gli stati possibili, appena però qualcuno andrà ad “osservarlo” lui sceglierà uno ed uno solo di questi stati e si farà trovare lì (postulato della proiezione). In realtà non c’è bisogno di una intelligenza che osservi (come ongi tanto qualcuno dice nella speranza di appiccicare idee metafisiche alla meccanica quantistica), molto più banalmente basta che l’elettrone inizi ad interagire con l’ambiente (ovvero con tutta quella parte di universo che non fa parte del sistema composto dal solo elettrone); ogni volta che l’elettrone interagisce in un qualche modo col resto dell’universo viene “misurato” e quindi costretto a scegliere uno solo fra la moltitudine di stati possibili.

Un’altra proprietà importante della meccanica quantistica è che, una volta che ho misurato il mio elettrone, se lo rimisuro immediatamente dopo, otterrò esattamente lo stesso risultato. Questo vuol dire che lo stato misurato non è banalmente uno preso a caso fra tutti quelli possibili ma che, una volta fatta la scelta, questa scelta è in qualche modo definitiva.

Ma perché io non posso misurare la sovrapposizione degli stati? E come fa l’elettrone a sapere di essere osservato e quindi a scegliere uno stato? E come sceglie proprio quello e non un altro? Questi sono i problemi della teoria della misura quantistica. L’approccio di Bohr (ovvero quello che è divenuto l’approccio standard) era di postulare questo comportamento e dimenticarsene. L’approccio di Zurek invece è di studiare come avviene una misura: infatti noi non siamo mai veramente in grado di “misurare” un elettrone, quello che possiamo fare è di misurare una piccola frazione dell’ambiente che lo circonda. Facciamo un esempio più vicino a noi: quando leggiamo le pagine di un libro non non stiamo veramente avendo un’esperienza diretta dell’inchiostro sulla pagina ma ci stiamo limitando a captare una piccola frazione dei fotoni che rimbalzano sulla pagina e poi finiscono nei nostri occhi. Siamo tutti d’accordo che il libro sia reale (anche se non ne abbiamo una misura diretta) perché se ci mettiamo in due a rileggere la stessa pagina, raccogliendo fotoni diversi i momenti diversi, saremo comunque concordi sul suo aspetto e su quello che c’era scritto. L’inchiostro sulla pagina del libro ha interagito con la luce che poi si è propagata e noi ne abbiamo misurato solo una piccolissima frazione; ciò nonostante abbiamo raccolto una gran quantità di informazioni su quell’inchiostro. Se raccogliessimo più luce non aumenteremmo di molto la nostra conoscenza su quel libro ed anche se ripetessimo la misura mille volte non progrediremmo molto oltre al punto dove siamo arrivati la prima volta.

Con l’elettrone il concetto è analogo: noi non misuriamo direttamente l’elettrone ma misuriamo una piccola frazione dell’ambiente che lo circonda e da questo traiamo tutta l’informazione che ci serve sulla sua posizione. Eppure, dal punto di vista della meccanica quantistica, questo suona un po’ strano. L’elettrone poteva avere miliardi di stati possibili, perché, pur misurando solo un’infinitesima frazione di quello che c’era da misurare, l’abbiamo visto tutti nella stessa posizione? Ecco, qui entra in gioco il Darwinismo quantistico.

L’elettrone parte da un certo “stato” iniziale. Questo stato interagisce con l’ambiente e vi lascia un’impronta, solo che ogni frazione di ambiente ha solo una parte di tutta l’informazione sullo stato originario e non tutti hanno proprio lo stesso pezzettino di informazione. Quindi ogni piccola frazione di universo (che noi possiamo misurare per trarre qualche informazione sull’elettrone) ci fa vedere uno stato leggermente diverso; in pratica lo stato iniziale ha prodotto una gran quantità di stati “figli”, ciascuno un po’ diverso dall’altro, che vivono nell’ambiente circostante. In questo modo uno stato quantistico riproduce se stesso in una molteplicità di copie simili ma non uguali all’originale (e quindi abbiamo sia la riproduzione che la mutazione).

Questi stati figli però non sono tutti uguali: alcuni sono tali da non poter sopravvivere a lungo nell’ambiente e le informazioni che li compongono diventano ben presto illeggibili e quindi immisurabili. Altri, per via del teorema di no-cloning, non sono in grado di lasciare a loro volta un’impronta nell’ambiente e quindi sono, sotto tutti gli aspetti, sterili. Solo una frazione molto piccola e ben delimitata di stati riescono a produrre copie di se stessi che a loro volta possano riprodursi. La “selezione naturale” in questo caso è data dal fatto che uno stato, per poter lasciare un’impronta duratura nell’ambiente, deve sottostare a regole ferree e deve essere “adatto” all’ambiente che lo circonda. In più la quantità di informazione che una certa porzione di ambiente può contenere è limitata (per esempio il numero di fotoni che colpiscono la pagina del libro è alta ma finita) e quindi esiste una “risorsa naturale” per cui gli stati competono. In questo modo solo gli stati “più adatti” all’ambiente che li circonda in quel dato momento possono replicarsi e influenzare il resto del mondo. Sono solo questi che possono essere effettivamente “misurati” da noi e che noi considereremo come reali.

In conclusione abbiamo un’entità (lo stato quantistico di un elettrone) che è capace di riprodursi (rilasciando copie di se stesso nel resto del mondo fisico) ma le cui copie non sono identiche all’originale (dato che contengono solo una parte di tutta l’informazione sullo stato originario) e nemmeno identiche l’una all’altra (e quindi abbiamo un processo di mutazione). Abbiamo poi un processo di selezione dovuto al fatto che non tutti gli “stati figli” sono egualmente adatti a sopravvivere all’interazione con l’ambiente senza diventare un rumore di fondo impossibile da misurare (l’insieme delle leggi che determinano quali stati possano sopravvievere e quali no è piuttosto complesso e la loro descrizione puntuale esula dalle possibilità di un semplice blog non specialistico, si rimandano quindi gli interessati agli articoli di Zurek ed in particolare alla review recentemente apparsa su Nature Physics). Le condizioni particolari che permettono ad uno stato di sopravvivere o meno abbastanza a lungo da poter interagire col resto dell’universo (diventando in qualche modo uno stato “oggettivo” che descrive le proprietà dell’elettrone stesso) dipendono poi dalla configurazione locale dell’ambiente in un dato momento; dato che questa configurazione cambia in continuazione lo stato dell’elettrone è obbligato ad adattarsi in continuazione alle mutate condizioni producendo nuovi stati figli e assumendo le proprietà dei più adatti alla sopravvivenza. In più esiste anche un meccanismo di competizione per una risorsa fondamentale ma limitata: infatti gli stati quantistici sono definiti dall’informazione che trasportano ma la quantità di informazione che è possibile immagazzinare nell’ambiente è una quantità limitata e quindi gli “stati figli” devono competere l’uno con l’altro per esistere (il perdersi nell’entropia dell’ambiente circostante è, per uno stato quantistico, un po’ l’equivalente della morte). Abbiamo quindi tutti gli ingredienti per fare un parallelo fra l’evoluzione di uno stato quantistico (quando questo sia a contatto con l’ambiente) e l’evoluzione Darwiniana. Ovviamente il parallelo non è del tutto perfetto (nessun parallelo può essere perfetto) ma almeno gli ingredienti fondamentali ci sono tutti.

3 Responses to Darwinismo quantistico

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s.l'i

Marzo 16th, 2009 at 12:29

Incomprensibilmente interessante. 😉

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hronir

Marzo 20th, 2009 at 15:56

Ti ho risposto, su un piano molto tecnico… (be’, più che risposte sono domande…).
Ciao!

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Carnaval de la Física #1 « Gravedad Cero

Novembre 30th, 2009 at 00:08

[…] desde cuál sería la peor pesadilla para el CERN, al bosón de Higgs explicado por Oliver y el Darwinismo cuántico, pasando por la vida de Hans Christian Oersted y el cuerpo negro de Max Planck para acabar con la […]

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