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Facciamo un esperimento mentale: immaginiamo di prendere un gruppo di persone a caso (se avete voglia potete provare a chiedere a chi vi sta intorno) e domandategli quali misteri ancora irrisolti della fisica gli vengano in mente. Le risposte che otterrete probabilmente includeranno il bosone di Higgs, la materia e/o l’energia oscura, l’origine dell’universo e cose del genere. Insomma, tutte cose che hanno a che fare con la fisica delle particelle o con la cosmologia. Magari ci saranno eccezioni ma quasi nessuno riuscirà a farsi venire in mente un mistero inspiegato della fisica che abbia una qualche attinenza con la vita quotidiana. Sarà per questo che la fisica (ma lo stesso giochino si potrebbe ripetere anche con la matematica e con la chimica) è percepita come una disciplina lontana dall’interesse quotidiano.
A ricordarci che, contrariamente a quello che molti pensano, siamo letteralmente circondati di fenomeni che necessitano di un’adeguata spiegazione arriva la copertina di uno degli ultimi numeri di Nature. Infatti nel numero del 23 di ottobre la copertina se l’è aggiudicata un gruppo di fisici dell’università della California che ha mostrato come, semplicemente srotolando un rotolo di scotch, sia possibile produrre abbastanza raggi X da fare una piccola radiografia.
Detta così la cosa sembra tanto surreale ed incredibile da far pensare ad una sorta di bufala o di scherzo (l’hanno pensato anche alcuni dei lettori di Attivissimo). Invece è la dimostrazione lampante del fatto che la natura sia sempre in grado di stupirci.
Ma andiamo per gradi: il fenomeno in questione si chiama triboluminescenza, ed è noto fino dal ‘600. Infatti all’epoca lo zucchero veniva trasportato in grossi blocchi e poi rotto in pezzi più piccoli per essere usato o venduto; quando si rompeva un blocco di zucchero (essenzialmente a martellate) in un ambiente poco illuminato (e nel ‘600 gli ambienti poco illuminati non dovevano mancare) si osservavano dei piccoli lampi di luce. Se prendete un cristallo di zucchero e lo strizzate con forza, ad esempio fra due pinzette, ed osservate con attenzione osserverete dei tenui lampi di luce (ne parla anche Feynman, nel suo Surely You’re Joking, Mr. Feynman!) . La stessa cosa se prendete un rotolo di scotch e lo tirate (ovviamente dovrete essere al buoi e con gli occhi ben adattati alle condizioni di poca luce, altrimenti non vedrete niente). Il colore della luce può variare ma sarà , in genere, rossastro.
Il bello della triboluminescenza è che, nonostante sia nota da 400 anni, ancora non si sa bene a cosa sia dovuta. Di teorie su quali ne sarebbero le cause ce ne sono a dozzine ma nessuno sa quale sia quella giusta (o se una qualsiasi tra le teorie proposte sia giusta). Insomma, si tratta di uno dei moltissimi fenomeni inspiegati di cui abbiamo (o potremmo facilmente avere) esperienza diretta ma sui quali nessuno studia. Un po’ perché, essendo poco fashion, è difficile trovare finanziamenti, un po’ perché è più facile venir attratti dai misteri del cosmo che da quelli nel cassetto della nostra scrivania.
Torniamo ai ricercatori californiani: quello che hanno scoperto (tra l’altro con un esperimento di una semplicità disarmante) è che la triboluminescenza ottenibile da attività comuni (come lo srotolare lo scotch) permette di ottenere non solo tenui lampi di luce, ma anche degli impulsi di raggi X. Per ottenere della radiazione X è necessario che il tutto sia sotto vuoto (quindi nessun rischio per i comuni utilizzatori di scotch) ma comunque, nel loro esperimento, i ricercatori californiani dimostrano che la quantità prodotta è tutt’altro che trascurabile. Risulta infatti sufficiente per impressionare delle piccole lastre per radiografie.
Piccola nota tecnica: il picco di emissione degli X è a 15 KeV ma la distribuzione ha code ben oltre i 40 KeV normalmente necessari per impressionare la lastre da radiografia.
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