(in)Formale
Una delle insidie lavorative moderne è l’apparente informalità di molti ambienti di lavoro.
Se sono il tuo capo, ci diamo del tu, ogni tanto pranziamo insieme, mentre lavoriamo è tutt’altro che vietato sorridere, non è necessariamente vero che sono tua amica; se poi sono solo in odore di diventare il tuo capo, forse non è il caso che io diventi la tua confidente e ti aiuti a uscire dai nodi gordiani dei tuoi dubbi.
Questo non perché io sia stronza, ma perché in ambito lavorativo giudico in ottica lavorativa.
Se ti sto assumendo e tu ti prendi una pausa in cui valuti un’altra offerta, mi viene il dubbio che tu voglia giocare al rialzo; se sono tua amica, magari so che che sei realmente dilaniata dai dubbi e hai bisogno di tempo.
Ma mi viene un dubbio: perché non hai temporeggiato con me, invece di raccontarmi tutto? La completa trasparenza non è necessariamente la mossa migliore, soprattutto in prossimità di un contratto.
Morale della favola? Se sono il capo sono il capo, se sono un possibile datore di lavoro non sono un tutor. In caso di dubbio pensami come un manager sessantenne bastardo a cui non ti sogneresti mai di dare del tu né un minimo di confidenza, e poi comportati di conseguenza.
Avevamo già parlato di lavoro qui.
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